Estratto Integrale del Capitolo IX° del volume “Tesla: lo scienziato contro” di Edoardo Segato
– Parte prima –
Dunque l’universo non è proprio come pensavi che fosse. Faresti meglio a riordinare le tue convinzioni allora. Perché di certo non puoi riordinare l’universo. Isaac Asimov[1]
– I Vedanta e la Meccanica Quantistica
Nel 1893, dopo soli due anni dalle incredibili scoperte effettuate con le sue bobine, Nikola Tesla incontrò Swami Vivekananda ad una festa a casa della cantante Sarah Bernhardt, che aveva appena prestato la voce a Thomas Edison per una delle prime registrazioni sul cilindro del nuovissimo fonografo. Swami era uno Yogi indiano, allievo di Ramakrishna
Paramahamsa, in viaggio in America per diffondere la dottrina Yoga e Vedanta, convocato dal Parlamento delle Religioni a Chicago. Tesla, già durante la prima conversazione con questa affabile autorità religiosa acclamata in tutto l’Oriente, rimase affascinato e attonito dalla somiglianza dei concetti vedici sull’energia, il cosmo e la materia, con le evidenze scientifiche emerse dai suoi esperimenti e da quelli di alcuni suoi colleghi.
In una lettera del 13 febbraio 1896 Vivekananda scrive ad un suo amico: “Il Sig. Tesla è rimasto catturato sentendo parlare del vedico Prana, Akasha e il Kalpas, ed in accordo con lui sono convinto che siano le uniche teorie che la scienza moderna potrebbe appoggiare. Il Sig. Tesla pensa di poter dimostrare matematicamente che la forza e la materia siano riducibili a energia potenziale.”[2]
Fig. 1 Swami Vivekananda Jaipur by Ramakrishna Mission Delhi – Ramakrishna Mission Delhi. Licensed under Public Domain via Wikimedia Commons.
La settimana successiva Swami fece visita a Tesla, che gli mostrò la propria interpretazione sperimentale e matematica delle sacre dottrine professate dall’indiano. I due continuarono a incontrarsi e a confrontarsi. Vivekananda nel mentre faceva avanti e indietro tra Europa e Stati Uniti, fino al 1897 quando tornò in Sri Lanka. Nel 1930 Tesla dichiarò di essere in procinto di pubblicare un trattato cosmologico che unificasse l’elettricità radiante da lui scoperta con l’elettricità comune, il magnetismo e i raggi comici osservati. La definì Teoria Dinamica della Gravità, e affermò che vi stava lavorando sin dal 1893. Purtroppo però non ne presentò mai una versione scritta definitiva. Rimangono solo spezzoni frammentari letti nel corso delle varie conferenze o dispersi tra i suoi appunti.
Perché un trattato sull’elettromagnetismo, per quanto riferentesi alle originali concezioni di Maxwell, sarebbe potuto valere anche come teoria della Gravità? Dunque, innanzitutto va sottolineato che l’aggettivo “dinamica” del titolo suggerisce un concetto che in fisica ricorda inevitabilmente la meccanica quantistica, alla quale tra l’altro proprio in quegli anni Tesla si dichiarava piuttosto affine. Di certo non scelse a caso una parola simile. La dinamicità, come spiega il fisico delle alte energie Fritjof Capra nel suo libro “il Tao della Fisica”, unisce le filosofie orientali alla fisica moderna della meccanica quantistica. Unire queste due sfere, finora ritenute opposte, simboleggiate da una parte dall’Occidente (la scienza) e dall’altra dall’Oriente (religione e filosofia mistica), è una conseguenza naturale dell’osservazione della loro complessa ragnatela di corrispondenze. La teoria dei quanti ci ha mostrato un mondo sub-atomico non fatto di particelle elementari come avevamo creduto per secoli, bensì di una rete, talvolta paradossale di interrelazioni nella quale niente può prescindere dal resto e tutto esiste solo in funzione degli elementi circostanti.[3]
Capra spiega, con l’entusiasmo di chi a sua volta rimane stupito, che i mistici orientali pare avessero in qualche modo profondamente e intimamente penetrato il funzionamento fisico della realtà, alle basi delle moderne teorie quantistiche e oltre, senza però usare la matematica, ma solo con il lento ritmo dell’esplorazione intellettuale. Ci ricordiamo d’un tratto che fu con l’intuito che Nikola Tesla stesso giunse alle sue idee migliori, come anche lo scienziato-artista Walter Russell. Come se avessero avuto accesso a informazioni nascoste, come se cercando le avessero trovate da qualche parte.
Il modo con cui Tesla usava riferirsi tecnicamente alle sue scoperte venne profondamente influenzato dagli insegnamenti di Vivekananda. Approfondì con letture e conferenze la visione cosmogonica orientale delle forze, della vita e della materia. Cominciò ad usare termini sanscriti per accompagnare le sue considerazioni e descrizioni scientifiche.
La natura della materia, dell’antimateria e la struttura dello spazio, del tempo e dell’atomo sono esposti infatti nei testi Vedici di 5000 anni fa con grande modernità di spiegazioni e dissertazioni sempre coerenti, assenti di quell’ingenuità primitiva tipica dei tentativi antichi di descrizione oggettiva della realtà. Vivekananda in effetti sperava con tutto sé stesso che Tesla avesse successo nella sua dimostrazione: considerare la materia come energia potenziale avrebbe provato le basi scientifiche della religione indiana e conciliato gli insegnamenti dei Veda con la fisica moderna, cambiando completamente il volto del pianeta. I pionieri stessi della meccanica quantistica, i primi esploratori delle dinamiche atomiche e nucleari, non si fecero scrupoli a dichiararsi a loro volta molto vicini alle filosofie induiste, buddiste o zen, come fece Tesla quasi mezzo secolo prima. Bohr, Heinsemberg, Schrödinger, De Broglie e molti altri ammisero di dover ripartire da zero con tutta la fisica conosciuta, che il mondo è più simile a come venne concepito in Oriente che non come ce lo immaginiamo noi, figli del materialismo di due millenni.[4] Partendo dagli atomisti greci, passando per Newton, fino ad arrivare ai giorni nostri, siamo rimasti inevitabilmente intrappolati dalla visione meccanicistica della vita e della materia, illusi dalla nostra stessa percezione e degli strumenti che creammo a nostra immagine e somiglianza.
– Automobili
Le testimonianze sulla vita privata di Nikola Tesla dopo gli anni ’10 si annebbiano criticamente lasciando molti dubbi sulle sue frequentazioni ma soprattutto sul suo lavoro. George Scherff, segretario, assistente e amico, chiese all’inventore che gli venisse restituita almeno una parte della somma prestatagli negli anni. Nonostante la moglie fosse ammalata e Scherff lavorasse praticamente gratis Tesla fece fatica a soddisfare la sua richiesta, tant’è che in un primo momento cercò di convincerlo che il prezzo della notorietà acquisita e delle esperienze vissute grazie a lui sarebbe dovuto risultare incalcolabile e che quindi qualsiasi accenno a dei risarcimenti sarebbe risultato inopportuno. Nel 1916 dovette recarsi in tribunale per una denuncia di evasione fiscale di 935 dollari nei confronti dell’amministrazione newyorkese. La notizia ebbe una tremenda risonanza, purtroppo più dei suoi annunci avvenieristici. Fu costretto ad ammettere pubblicamente la bancarotta.
Sebbene fosse criticato e malvisto, negli anni ‘20 ben 50 miliardi di dollari complessivi erano stati investiti in tutto il mondo sui suoi brevetti senza fili e sui motori a induzione. La difficoltà di percepire i diritti stava nella loro cattiva gestione e nella difficoltà di rinnovarli, senza contare il fatto che molti di essi erano adesso di proprietà della General Electric, della Marconi, della Westinghouse e molte altre società più piccole. Anche se durante l’edificazione di Wardenclyffe poté spostare i suoi uffici nelle sfarzose Metropolitan Towers, ora Tesla fu costretto di nuovo a trasferirsi, stavolta nel più modesto ma altrettanto elegante Woolworth Building, la Cattedrale del Commercio, ancora oggi uno dei grattacieli più alti e famosi degli Stati Uniti con i suoi sessanta piani, illuminati per la prima volta da Woodrow Wilson nel 1913 con la pressione di un solo dito sul suo bottone presidenziale, comodamente seduto a Washington, D.C. Per molti anni Tesla continuò la sua attività giornalistica, muovendosi tra svariati hotel e uffici e sviluppando parallelamente innumerevoli progetti.
Pochi anni prima Tesla si era avvicinato al settore automobilistico a causa del nipote ingegnere. Aveva brevettato una candela elettrica per l’accensione di un motore a combustione interna tramite scintilla elettrica. La prima sembrerebbe. Il tachimetro ad attrito ad aria, il primo della storia, basato sugli stessi principi della turbina senza pale, fu brevettato proprio da Tesla per la compagnia Waltham Watching Company, la cui collaborazione viene così celebrata da Spiro Vranjes del Museo della Storia della Scienza di Oxford:
«La Waltham Watch Company, di Waltham, Massachusetts, è stata una prestigiosa costruttrice di strumenti, realizzò l’orologio di Abraham Lincoln, e ne spedì un altro in missione di allunaggio nel 1971. Viene da sé che la loro associazione con il grande Tesla fruttò quello che è probabilmente il primo dispositivo per misurare velocità, distanza e tempo.»[5]
In seguito il suo tachimetro venne inserito in alcuni modelli di lusso della Pierce-Arrow e sulla Lincoln Packard, fruttando negli anni un decente arrotondamento per sbarcare il lunario. Mentre lavorava alla Teleautomatica nel 1898 propose ad alcuni industriali il progetto di una macchina che potesse muoversi automaticamente ed “eseguire un gran numero di operazioni, come se possedesse una sua capacità di giudizio”. Nel 1915 provò a scrivere una lettera a Benjamin F. Miessner nella quale disse che il suo sistema di energia senza fili poteva essere usato per alimentare macchine e aerei a qualsiasi distanza. La cosa venne reputata ogni volta assurda e assolutamente irrealizzabile. Ovviamente, dopo l’esperienza con i suoi sommergibili, le navi telecomandate e la torre di Wardenclyffe, gli sarebbe bastato un investimento, uno stipendio e in uno, due anni di lavoro l’automobile sarebbe stata pronta, completa di motore elettrico o di turbina. Il New York Daily News del 2 aprile 1934 però riporta un articolo intitolato “Il sogno di Tesla di un’energia senza fili vicino alla realtà”, che descriveva un esperimento programmato per sperimentare una sua nuovissima invenzione, passato alla storia come un episodio piuttosto controverso.
Nel 1931 la Pierce-Arrow, di proprietà della Studebacker Corporation che ne era anche la principale finanziatrice, si permise delle innovazioni su alcuni nuovi modelli. Costruì dei motori a 8 cilindri in linea e altri a 12 cilindri a forma di V, i Silver Arrows, considerati molto innovativi e “futuristici”. Grazie alla buona reazione dei clienti la quota aziendale dei loro modelli nel mercato di lusso, aumentò. In un panorama simile il concepimento di progetti più sperimentali sembrano piuttosto verosimili. Inoltre la vettura elettrica, in America inaugurata da Thomas Parker nel 1884 ma risalente ad altri progetti europei della prima metà dell’Ottocento, era una delle tre possibili direzioni, insieme al vapore e alla benzina, per la propulsione nell’ingegneria automobilistica.
Secondo Peter Savo -amico stretto di Tesla nonostante lo chiamasse zio- l’azienda aveva messo a disposizione della Westinghouse Company una Pierce-Arrow Eight dall’area di collaudo di Buffalo, alla quale la divisione aveva sostituito il motore a combustione interna con un motore elettrico di 102 cm di lunghezza e 76 di diametro, 80 cavalli, 1800 giri al minuto (300 Hz), senza spazzole e raffreddato ad aria con una ventola frontale, che venne collegato alla trasmissione della macchina in alternativa ai tradizionali motori a corrente continua delle vecchie macchine elettriche. La batteria interna da 12 volt rimase al suo posto.
I dubbi sull’attendibilità della storia si basano soprattutto sul fatto che il motore avrebbe avuto bisogno di un convertitore per prelevare la corrente continua delle batterie e usarla in alternata. Però la cronaca è molto chiara al riguardo: Tesla non collegò il motore alla batteria bensì ad una sorta di scatola, con dentro un dispositivo comprensivo di circuito elettrico con cablaggi, resistenze e 12 valvole termoionioche, che lui inserì sotto il cruscotto e che interfacciò con un’antenna di 1,83 metri posta sul retro. Durante il viaggio di 80 chilometri a 145 all’ora, il “nipote” chiese a Tesla da dove proveniva l’energia e questi rispose «dall’etere intorno a noi». William Terbo, pronipote di Tesla, commenta l’aneddoto con queste parole.
«A tutti quelli che mi hanno chiesto della Pierce Arrow del 1930/31! (…) Mio padre, Nicholas J. Trbojevich, nipote di Tesla e famoso inventore nell’industria automobilistica, era in regolare contatto con Tesla riguardo questioni sia familiari che scientifiche (mio padre portò la matematica avanzata nel design delle marce, facendo per gli ingranaggi ciò che Tesla fece per l’elettricità). Se Tesla avesse mai avuto una Pierce Arrow di Buffalo con in tasca un rimpiazzo per un motore elettrico, la prima persona che avrebbe consultato sarebbe stata mio padre! Questo pone fine a questa storia ridicola, inclusi presunti parenti di Tesla, mio padre e/o me.»[6]
Una dichiarazione simile da un tale pulpito sembrerebbe non ammettere discussioni, anche se Tesla nel 1931 scrisse un articolo in cui si legge questa frase: «Ho catturato i raggi cosmici e ho fatto loro alimentare un dispositivo mobile.»[7]
– Parte prima –
Dunque l’universo non è proprio come pensavi che fosse. Faresti meglio a riordinare le tue convinzioni allora. Perché di certo non puoi riordinare l’universo. Isaac Asimov[1]
– I Vedanta e la Meccanica Quantistica
Nel 1893, dopo soli due anni dalle incredibili scoperte effettuate con le sue bobine, Nikola Tesla incontrò Swami Vivekananda ad una festa a casa della cantante Sarah Bernhardt, che aveva appena prestato la voce a Thomas Edison per una delle prime registrazioni sul cilindro del nuovissimo fonografo. Swami era uno Yogi indiano, allievo di Ramakrishna
Paramahamsa, in viaggio in America per diffondere la dottrina Yoga e Vedanta, convocato dal Parlamento delle Religioni a Chicago. Tesla, già durante la prima conversazione con questa affabile autorità religiosa acclamata in tutto l’Oriente, rimase affascinato e attonito dalla somiglianza dei concetti vedici sull’energia, il cosmo e la materia, con le evidenze scientifiche emerse dai suoi esperimenti e da quelli di alcuni suoi colleghi.
In una lettera del 13 febbraio 1896 Vivekananda scrive ad un suo amico: “Il Sig. Tesla è rimasto catturato sentendo parlare del vedico Prana, Akasha e il Kalpas, ed in accordo con lui sono convinto che siano le uniche teorie che la scienza moderna potrebbe appoggiare. Il Sig. Tesla pensa di poter dimostrare matematicamente che la forza e la materia siano riducibili a energia potenziale.”[2]
Fig. 1 Swami Vivekananda Jaipur by Ramakrishna Mission Delhi – Ramakrishna Mission Delhi. Licensed under Public Domain via Wikimedia Commons.
La settimana successiva Swami fece visita a Tesla, che gli mostrò la propria interpretazione sperimentale e matematica delle sacre dottrine professate dall’indiano. I due continuarono a incontrarsi e a confrontarsi. Vivekananda nel mentre faceva avanti e indietro tra Europa e Stati Uniti, fino al 1897 quando tornò in Sri Lanka. Nel 1930 Tesla dichiarò di essere in procinto di pubblicare un trattato cosmologico che unificasse l’elettricità radiante da lui scoperta con l’elettricità comune, il magnetismo e i raggi comici osservati. La definì Teoria Dinamica della Gravità, e affermò che vi stava lavorando sin dal 1893. Purtroppo però non ne presentò mai una versione scritta definitiva. Rimangono solo spezzoni frammentari letti nel corso delle varie conferenze o dispersi tra i suoi appunti.
Perché un trattato sull’elettromagnetismo, per quanto riferentesi alle originali concezioni di Maxwell, sarebbe potuto valere anche come teoria della Gravità? Dunque, innanzitutto va sottolineato che l’aggettivo “dinamica” del titolo suggerisce un concetto che in fisica ricorda inevitabilmente la meccanica quantistica, alla quale tra l’altro proprio in quegli anni Tesla si dichiarava piuttosto affine. Di certo non scelse a caso una parola simile. La dinamicità, come spiega il fisico delle alte energie Fritjof Capra nel suo libro “il Tao della Fisica”, unisce le filosofie orientali alla fisica moderna della meccanica quantistica. Unire queste due sfere, finora ritenute opposte, simboleggiate da una parte dall’Occidente (la scienza) e dall’altra dall’Oriente (religione e filosofia mistica), è una conseguenza naturale dell’osservazione della loro complessa ragnatela di corrispondenze. La teoria dei quanti ci ha mostrato un mondo sub-atomico non fatto di particelle elementari come avevamo creduto per secoli, bensì di una rete, talvolta paradossale di interrelazioni nella quale niente può prescindere dal resto e tutto esiste solo in funzione degli elementi circostanti.[3]
Capra spiega, con l’entusiasmo di chi a sua volta rimane stupito, che i mistici orientali pare avessero in qualche modo profondamente e intimamente penetrato il funzionamento fisico della realtà, alle basi delle moderne teorie quantistiche e oltre, senza però usare la matematica, ma solo con il lento ritmo dell’esplorazione intellettuale. Ci ricordiamo d’un tratto che fu con l’intuito che Nikola Tesla stesso giunse alle sue idee migliori, come anche lo scienziato-artista Walter Russell. Come se avessero avuto accesso a informazioni nascoste, come se cercando le avessero trovate da qualche parte.
Il modo con cui Tesla usava riferirsi tecnicamente alle sue scoperte venne profondamente influenzato dagli insegnamenti di Vivekananda. Approfondì con letture e conferenze la visione cosmogonica orientale delle forze, della vita e della materia. Cominciò ad usare termini sanscriti per accompagnare le sue considerazioni e descrizioni scientifiche.
La natura della materia, dell’antimateria e la struttura dello spazio, del tempo e dell’atomo sono esposti infatti nei testi Vedici di 5000 anni fa con grande modernità di spiegazioni e dissertazioni sempre coerenti, assenti di quell’ingenuità primitiva tipica dei tentativi antichi di descrizione oggettiva della realtà. Vivekananda in effetti sperava con tutto sé stesso che Tesla avesse successo nella sua dimostrazione: considerare la materia come energia potenziale avrebbe provato le basi scientifiche della religione indiana e conciliato gli insegnamenti dei Veda con la fisica moderna, cambiando completamente il volto del pianeta. I pionieri stessi della meccanica quantistica, i primi esploratori delle dinamiche atomiche e nucleari, non si fecero scrupoli a dichiararsi a loro volta molto vicini alle filosofie induiste, buddiste o zen, come fece Tesla quasi mezzo secolo prima. Bohr, Heinsemberg, Schrödinger, De Broglie e molti altri ammisero di dover ripartire da zero con tutta la fisica conosciuta, che il mondo è più simile a come venne concepito in Oriente che non come ce lo immaginiamo noi, figli del materialismo di due millenni.[4] Partendo dagli atomisti greci, passando per Newton, fino ad arrivare ai giorni nostri, siamo rimasti inevitabilmente intrappolati dalla visione meccanicistica della vita e della materia, illusi dalla nostra stessa percezione e degli strumenti che creammo a nostra immagine e somiglianza.
– Automobili
Le testimonianze sulla vita privata di Nikola Tesla dopo gli anni ’10 si annebbiano criticamente lasciando molti dubbi sulle sue frequentazioni ma soprattutto sul suo lavoro. George Scherff, segretario, assistente e amico, chiese all’inventore che gli venisse restituita almeno una parte della somma prestatagli negli anni. Nonostante la moglie fosse ammalata e Scherff lavorasse praticamente gratis Tesla fece fatica a soddisfare la sua richiesta, tant’è che in un primo momento cercò di convincerlo che il prezzo della notorietà acquisita e delle esperienze vissute grazie a lui sarebbe dovuto risultare incalcolabile e che quindi qualsiasi accenno a dei risarcimenti sarebbe risultato inopportuno. Nel 1916 dovette recarsi in tribunale per una denuncia di evasione fiscale di 935 dollari nei confronti dell’amministrazione newyorkese. La notizia ebbe una tremenda risonanza, purtroppo più dei suoi annunci avvenieristici. Fu costretto ad ammettere pubblicamente la bancarotta.
Sebbene fosse criticato e malvisto, negli anni ‘20 ben 50 miliardi di dollari complessivi erano stati investiti in tutto il mondo sui suoi brevetti senza fili e sui motori a induzione. La difficoltà di percepire i diritti stava nella loro cattiva gestione e nella difficoltà di rinnovarli, senza contare il fatto che molti di essi erano adesso di proprietà della General Electric, della Marconi, della Westinghouse e molte altre società più piccole. Anche se durante l’edificazione di Wardenclyffe poté spostare i suoi uffici nelle sfarzose Metropolitan Towers, ora Tesla fu costretto di nuovo a trasferirsi, stavolta nel più modesto ma altrettanto elegante Woolworth Building, la Cattedrale del Commercio, ancora oggi uno dei grattacieli più alti e famosi degli Stati Uniti con i suoi sessanta piani, illuminati per la prima volta da Woodrow Wilson nel 1913 con la pressione di un solo dito sul suo bottone presidenziale, comodamente seduto a Washington, D.C. Per molti anni Tesla continuò la sua attività giornalistica, muovendosi tra svariati hotel e uffici e sviluppando parallelamente innumerevoli progetti.
Pochi anni prima Tesla si era avvicinato al settore automobilistico a causa del nipote ingegnere. Aveva brevettato una candela elettrica per l’accensione di un motore a combustione interna tramite scintilla elettrica. La prima sembrerebbe. Il tachimetro ad attrito ad aria, il primo della storia, basato sugli stessi principi della turbina senza pale, fu brevettato proprio da Tesla per la compagnia Waltham Watching Company, la cui collaborazione viene così celebrata da Spiro Vranjes del Museo della Storia della Scienza di Oxford:
«La Waltham Watch Company, di Waltham, Massachusetts, è stata una prestigiosa costruttrice di strumenti, realizzò l’orologio di Abraham Lincoln, e ne spedì un altro in missione di allunaggio nel 1971. Viene da sé che la loro associazione con il grande Tesla fruttò quello che è probabilmente il primo dispositivo per misurare velocità, distanza e tempo.»[5]
In seguito il suo tachimetro venne inserito in alcuni modelli di lusso della Pierce-Arrow e sulla Lincoln Packard, fruttando negli anni un decente arrotondamento per sbarcare il lunario. Mentre lavorava alla Teleautomatica nel 1898 propose ad alcuni industriali il progetto di una macchina che potesse muoversi automaticamente ed “eseguire un gran numero di operazioni, come se possedesse una sua capacità di giudizio”. Nel 1915 provò a scrivere una lettera a Benjamin F. Miessner nella quale disse che il suo sistema di energia senza fili poteva essere usato per alimentare macchine e aerei a qualsiasi distanza. La cosa venne reputata ogni volta assurda e assolutamente irrealizzabile. Ovviamente, dopo l’esperienza con i suoi sommergibili, le navi telecomandate e la torre di Wardenclyffe, gli sarebbe bastato un investimento, uno stipendio e in uno, due anni di lavoro l’automobile sarebbe stata pronta, completa di motore elettrico o di turbina. Il New York Daily News del 2 aprile 1934 però riporta un articolo intitolato “Il sogno di Tesla di un’energia senza fili vicino alla realtà”, che descriveva un esperimento programmato per sperimentare una sua nuovissima invenzione, passato alla storia come un episodio piuttosto controverso.
Nel 1931 la Pierce-Arrow, di proprietà della Studebacker Corporation che ne era anche la principale finanziatrice, si permise delle innovazioni su alcuni nuovi modelli. Costruì dei motori a 8 cilindri in linea e altri a 12 cilindri a forma di V, i Silver Arrows, considerati molto innovativi e “futuristici”. Grazie alla buona reazione dei clienti la quota aziendale dei loro modelli nel mercato di lusso, aumentò. In un panorama simile il concepimento di progetti più sperimentali sembrano piuttosto verosimili. Inoltre la vettura elettrica, in America inaugurata da Thomas Parker nel 1884 ma risalente ad altri progetti europei della prima metà dell’Ottocento, era una delle tre possibili direzioni, insieme al vapore e alla benzina, per la propulsione nell’ingegneria automobilistica.
Secondo Peter Savo -amico stretto di Tesla nonostante lo chiamasse zio- l’azienda aveva messo a disposizione della Westinghouse Company una Pierce-Arrow Eight dall’area di collaudo di Buffalo, alla quale la divisione aveva sostituito il motore a combustione interna con un motore elettrico di 102 cm di lunghezza e 76 di diametro, 80 cavalli, 1800 giri al minuto (300 Hz), senza spazzole e raffreddato ad aria con una ventola frontale, che venne collegato alla trasmissione della macchina in alternativa ai tradizionali motori a corrente continua delle vecchie macchine elettriche. La batteria interna da 12 volt rimase al suo posto.
I dubbi sull’attendibilità della storia si basano soprattutto sul fatto che il motore avrebbe avuto bisogno di un convertitore per prelevare la corrente continua delle batterie e usarla in alternata. Però la cronaca è molto chiara al riguardo: Tesla non collegò il motore alla batteria bensì ad una sorta di scatola, con dentro un dispositivo comprensivo di circuito elettrico con cablaggi, resistenze e 12 valvole termoionioche, che lui inserì sotto il cruscotto e che interfacciò con un’antenna di 1,83 metri posta sul retro. Durante il viaggio di 80 chilometri a 145 all’ora, il “nipote” chiese a Tesla da dove proveniva l’energia e questi rispose «dall’etere intorno a noi». William Terbo, pronipote di Tesla, commenta l’aneddoto con queste parole.
«A tutti quelli che mi hanno chiesto della Pierce Arrow del 1930/31! (…) Mio padre, Nicholas J. Trbojevich, nipote di Tesla e famoso inventore nell’industria automobilistica, era in regolare contatto con Tesla riguardo questioni sia familiari che scientifiche (mio padre portò la matematica avanzata nel design delle marce, facendo per gli ingranaggi ciò che Tesla fece per l’elettricità). Se Tesla avesse mai avuto una Pierce Arrow di Buffalo con in tasca un rimpiazzo per un motore elettrico, la prima persona che avrebbe consultato sarebbe stata mio padre! Questo pone fine a questa storia ridicola, inclusi presunti parenti di Tesla, mio padre e/o me.»[6]
Una dichiarazione simile da un tale pulpito sembrerebbe non ammettere discussioni, anche se Tesla nel 1931 scrisse un articolo in cui si legge questa frase: «Ho catturato i raggi cosmici e ho fatto loro alimentare un dispositivo mobile.»[7]
fonte:altrogiornale
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