L’ex pm ed ex leader dell’Italia dei valori duro con il premier e i suoi ministri: “Il problema non è solo la Boschi, che rischia di passare per vittima quando invece non lo è”. Ma anche contro i due organismi di controllo. A cominciare da via Nazionale: “È innegabile che ci sia stata un’omissione di atti d’ufficio”. Poi un consiglio ai magistrati: “Devono evitare che le prove vengano inquinate. In casi come questo gli inquirenti trovano quello che vogliono fargli trovare”
Il conflitto di interessi? “Se c’è riguarda tutti, non solo una singola ministra”. Addirittura “è l’intero governo che vasfiduciato”. Il ruolo di Banca d’Italia e Consob nel crack diBanca Etruria? “Non c’è dubbio che vi sia stata da parte loro un’omissione di atti d’ufficio”. Antonio Di Pietro, ex componente del pool di Mani Pulite ed ex leader dell’Italia dei valori (Idv), due volte ministro, commenta così la vicenda che ha visto migliaia di clienti dell’istituto che annoverava fra i propri vertici anche il padre della ministra per le Riforme, Maria Elena Boschi, perdere milioni di euro di risparmi investiti inobbligazioni subordinate. “Mi auguro che nelle sue indagini la magistratura non abbia tentennamenti di alcun tipo – aggiunge l’ex pubblico ministero contattato da ilfattoquotidiano.it –.
Va evitato qualsiasi pericolo di inquinamento delle prove. Io al tempo intervenivo ad horas, bloccando tutto ciò che poteva alterarle.Comprese le persone”. Cioè, anche con gli arresti.
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Clienti truffati, vertici della banca coinvolti, omessi controlli da parte di chi doveva vigilare: Di Pietro, ce n’è quanto basta per scrivere l’ennesima brutta pagina di storia italiana.
È così. Questa situazione deriva dal fatto che nel nostro Paese il sistema dei controlli, con particolare riferimento a quelli sulle banche, fa acqua sia sul piano normativo sia effettivo. Tutti i soggetti coinvolti, a cominciare da Banca d’Italia e Consob, hanno fatto scaricabarile. Unito a ciò, mancano delle leggi precise per verificare che chi è addetto al controllo svolga bene il suo dovere. E quali sono le sanzioni in caso di violazioni. Non si può certo dire che situazioni come queste siano nuove agli occhi dell’opinione pubblica. Ma si è sempre rinviato il problema sine die.
A proposito di Bankitalia e Consob: il Fatto Quotidiano ha reso pubblica la lettera con cui due anni fa il governatore Ignazio Visco avvisò i manager di Banca Etruria del “degrado irreversibile” dell’istituto. Missiva rimasta però segreta. Un fatto grave, o no?
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Penso che ci sia la necessità di un forte intervento della magistratura per ‘cristallizzare’ le prove documentali che si trovano nei vari uffici. Quante altre lettere come quella resa nota dal Fatto, utili alle indagini, ci sono? I magistrati le hanno in mano? Me lo auguro. In questi casi, a volte, gli inquirenti trovano quello che vogliono fargli trovare. Io al tempo intervenivo ad horas, bloccando tutto ciò che poteva inquinare le prove. Comprese le persone. Ricordo ancora le critiche…
Secondo lei, oltre a questi due organismi, chi altri ha responsabilità sulla vicenda?
Ci sono vari soggetti coinvolti e numerosi livelli di responsabilità. È però indubbia quella politica dell’intero governo.
Sta dicendo che le possibili dimissioni della ministra Maria Elena Boschi, o una sua eventuale sfiducia in Parlamento, non risolverebbero il problema?
Certe decisioni sono state assunte dall’esecutivo nella sua interezza: è l’intero organo collegiale che casomai va sfiduciato. Se c’è, il conflitto di interessi riguarda tutti, non solo una singola ministra. La quale rischia di passare per vittima quando invece non lo è. Personalmente, trovo positivo il fatto che si parli di una mozione di sfiducia: così si discute pubblicamente di un problema sperando che si arrivi all’approvazione di un provvedimento che eviti altri casi simili.
Su Banca Etruria sono già stati avviati tre filoni d’inchiesta. Compresa un’indagine sul conflitto di interessi originato dalla relazione della Banca d’Italia sul commissariamento dell’istituto nel febbraio 2015. Come valuta l’operato della magistratura?
In questo momento, la magistratura fa bene a indagare senza mettere le mani avanti incriminando una persona invece di un’altra, con il rischio, come ho già detto in precedenza, di far passare per vittima chi invece non lo è. Mi auguro che sul piano penale vengano differenziati i comportamenti. Ma non ci devono essere tentennamenti di alcun tipo.
Ma se fosse lei il pubblico ministero a capo dell’inchiesta agirebbe, o si sarebbe già mosso, diversamente?
Avrei già proceduto fermando lo status quo.
In che senso?
Come ho già detto in precedenza, sarei andato a prendere le carte in modo da far rimanere illibate le prove, evitando così qualsiasi possibilità di un loro inquinamento. L’unico pericolo reale, al momento, è proprio questo. E non si può limitare con provvedimenti cautelari personali ma reali.
Sempre il Fatto ha reso noto come il procuratore capo di Arezzo, Roberto Rossi, che sta indagando proprio su Banca Etruria, sia contemporaneamente consulente di Palazzo Chigi, nominato a febbraio 2015 dal governo Renzi. Siamo alle solite: chi controlla il controllore?
Credo che sia lo stesso Rossi ad aver capito di avere contemporaneamente il piede in due scarpe. Bene farebbe a lasciare l’incarico ad un altro collega. Succederà? Non lo so. Certamente, a questo punto, la palla passa nelle mani del procuratore generale: è lui che dovrà valutare il da farsi.
Nel frattempo, proprio su Rossi, il Consiglio superiore della magistratura (Csm) ha aperto un fascicolo accogliendo la richiesta presentata dal membro laico Pierantonio Zanettin (Forza Italia). Si prefigura un’ipotesi di conflitto di interessi?
Sul piano tecnico, nel caso specifico, non ci sono profili di questo tipo: infatti Palazzo Chigi non risulta fra i soggetti oggetto di indagine. C’è però un problema di opportunità. Trovo sia interesse di entrambe le parti quello di far svolgere le indagini a persone che non hanno rapporti di alcun tipo. Serve una maggiore tranquillità per arrivare ad una decisione indipendente e inattaccabile.
A suo avviso bisognerebbe indagare anche i vertici di Bankitalia e Consob? Hanno chiare responsabilità su quanto è accaduto?
Non so quali specifici soggetti abbiano delle effettive responsabilità, ma non c’è dubbio che vi sia stata un’omissione di atti d’ufficio. Bankitalia è arrivata fino al punto di accertare il fatto, poi non ha agito sostenendo di non avere potere normativi sufficienti. Non credo che sia così: non ho mai visto un medico diagnosticare una grave malattia e poi lasciare morire il paziente.
Torniamo alla Boschi. Renzi la difende a spada tratta: sembra di rivedere i berlusconiani che negavano qualsiasi tipo di conflitto d’interessi per l’uomo di Arcore…
In verità il presidente del Consiglio difende se stesso. Il problema qui è un altro.
E qual è?
Quando al governo c’era Berlusconi io e altri, a cominciare dalla società civile e dal sistema dell’informazione, denunciavamo quanto accadeva. Perché era nostro dovere farlo. Oggi invece, con Renzi a Palazzo Chigi, tutti si sono girati dall’altra parte. Ciò mi lascia molto amareggiato.
Insomma, ha ragione Roberto Saviano a denunciare l’uso di due pesi e due misure?
È così. Il problema non è la società civile ma come essa viene aiutata a capire come stanno realmente le cose. Tutti i giorni, a sistema informativo riunito, veniamo ‘colpiti’ dagli slogan di Renzi che assomigliano a quelli di un venditore ambulante. Senza alcun contraddittorio. Di più: quando qualcuno lo contesta, come successo al Fatto, diventa un ‘criminale’.
Oggi è come ai tempi di Tangentopoli?
È peggio di prima perché ciò che un tempo poteva essere perseguito sul piano tecnico-giudiziario ora non lo è: si è ingegnerizzato il sistema della tangente. In certi casi è diventato legale ciò che una volta non lo era. Infine, è intervenuto uno scoramento dell’opinione pubblica a cui si è fatto credere che spesso le colpe sono di chi ha scoperto il reato, non di chi lo ha commesso.
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Clienti truffati, vertici della banca coinvolti, omessi controlli da parte di chi doveva vigilare: Di Pietro, ce n’è quanto basta per scrivere l’ennesima brutta pagina di storia italiana.
È così. Questa situazione deriva dal fatto che nel nostro Paese il sistema dei controlli, con particolare riferimento a quelli sulle banche, fa acqua sia sul piano normativo sia effettivo. Tutti i soggetti coinvolti, a cominciare da Banca d’Italia e Consob, hanno fatto scaricabarile. Unito a ciò, mancano delle leggi precise per verificare che chi è addetto al controllo svolga bene il suo dovere. E quali sono le sanzioni in caso di violazioni. Non si può certo dire che situazioni come queste siano nuove agli occhi dell’opinione pubblica. Ma si è sempre rinviato il problema sine die.
A proposito di Bankitalia e Consob: il Fatto Quotidiano ha reso pubblica la lettera con cui due anni fa il governatore Ignazio Visco avvisò i manager di Banca Etruria del “degrado irreversibile” dell’istituto. Missiva rimasta però segreta. Un fatto grave, o no?
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Penso che ci sia la necessità di un forte intervento della magistratura per ‘cristallizzare’ le prove documentali che si trovano nei vari uffici. Quante altre lettere come quella resa nota dal Fatto, utili alle indagini, ci sono? I magistrati le hanno in mano? Me lo auguro. In questi casi, a volte, gli inquirenti trovano quello che vogliono fargli trovare. Io al tempo intervenivo ad horas, bloccando tutto ciò che poteva inquinare le prove. Comprese le persone. Ricordo ancora le critiche…
Secondo lei, oltre a questi due organismi, chi altri ha responsabilità sulla vicenda?
Ci sono vari soggetti coinvolti e numerosi livelli di responsabilità. È però indubbia quella politica dell’intero governo.
Sta dicendo che le possibili dimissioni della ministra Maria Elena Boschi, o una sua eventuale sfiducia in Parlamento, non risolverebbero il problema?
Certe decisioni sono state assunte dall’esecutivo nella sua interezza: è l’intero organo collegiale che casomai va sfiduciato. Se c’è, il conflitto di interessi riguarda tutti, non solo una singola ministra. La quale rischia di passare per vittima quando invece non lo è. Personalmente, trovo positivo il fatto che si parli di una mozione di sfiducia: così si discute pubblicamente di un problema sperando che si arrivi all’approvazione di un provvedimento che eviti altri casi simili.
Su Banca Etruria sono già stati avviati tre filoni d’inchiesta. Compresa un’indagine sul conflitto di interessi originato dalla relazione della Banca d’Italia sul commissariamento dell’istituto nel febbraio 2015. Come valuta l’operato della magistratura?
In questo momento, la magistratura fa bene a indagare senza mettere le mani avanti incriminando una persona invece di un’altra, con il rischio, come ho già detto in precedenza, di far passare per vittima chi invece non lo è. Mi auguro che sul piano penale vengano differenziati i comportamenti. Ma non ci devono essere tentennamenti di alcun tipo.
Ma se fosse lei il pubblico ministero a capo dell’inchiesta agirebbe, o si sarebbe già mosso, diversamente?
Avrei già proceduto fermando lo status quo.
In che senso?
Come ho già detto in precedenza, sarei andato a prendere le carte in modo da far rimanere illibate le prove, evitando così qualsiasi possibilità di un loro inquinamento. L’unico pericolo reale, al momento, è proprio questo. E non si può limitare con provvedimenti cautelari personali ma reali.
Sempre il Fatto ha reso noto come il procuratore capo di Arezzo, Roberto Rossi, che sta indagando proprio su Banca Etruria, sia contemporaneamente consulente di Palazzo Chigi, nominato a febbraio 2015 dal governo Renzi. Siamo alle solite: chi controlla il controllore?
Credo che sia lo stesso Rossi ad aver capito di avere contemporaneamente il piede in due scarpe. Bene farebbe a lasciare l’incarico ad un altro collega. Succederà? Non lo so. Certamente, a questo punto, la palla passa nelle mani del procuratore generale: è lui che dovrà valutare il da farsi.
Nel frattempo, proprio su Rossi, il Consiglio superiore della magistratura (Csm) ha aperto un fascicolo accogliendo la richiesta presentata dal membro laico Pierantonio Zanettin (Forza Italia). Si prefigura un’ipotesi di conflitto di interessi?
Sul piano tecnico, nel caso specifico, non ci sono profili di questo tipo: infatti Palazzo Chigi non risulta fra i soggetti oggetto di indagine. C’è però un problema di opportunità. Trovo sia interesse di entrambe le parti quello di far svolgere le indagini a persone che non hanno rapporti di alcun tipo. Serve una maggiore tranquillità per arrivare ad una decisione indipendente e inattaccabile.
A suo avviso bisognerebbe indagare anche i vertici di Bankitalia e Consob? Hanno chiare responsabilità su quanto è accaduto?
Non so quali specifici soggetti abbiano delle effettive responsabilità, ma non c’è dubbio che vi sia stata un’omissione di atti d’ufficio. Bankitalia è arrivata fino al punto di accertare il fatto, poi non ha agito sostenendo di non avere potere normativi sufficienti. Non credo che sia così: non ho mai visto un medico diagnosticare una grave malattia e poi lasciare morire il paziente.
Torniamo alla Boschi. Renzi la difende a spada tratta: sembra di rivedere i berlusconiani che negavano qualsiasi tipo di conflitto d’interessi per l’uomo di Arcore…
In verità il presidente del Consiglio difende se stesso. Il problema qui è un altro.
E qual è?
Quando al governo c’era Berlusconi io e altri, a cominciare dalla società civile e dal sistema dell’informazione, denunciavamo quanto accadeva. Perché era nostro dovere farlo. Oggi invece, con Renzi a Palazzo Chigi, tutti si sono girati dall’altra parte. Ciò mi lascia molto amareggiato.
Insomma, ha ragione Roberto Saviano a denunciare l’uso di due pesi e due misure?
È così. Il problema non è la società civile ma come essa viene aiutata a capire come stanno realmente le cose. Tutti i giorni, a sistema informativo riunito, veniamo ‘colpiti’ dagli slogan di Renzi che assomigliano a quelli di un venditore ambulante. Senza alcun contraddittorio. Di più: quando qualcuno lo contesta, come successo al Fatto, diventa un ‘criminale’.
Oggi è come ai tempi di Tangentopoli?
È peggio di prima perché ciò che un tempo poteva essere perseguito sul piano tecnico-giudiziario ora non lo è: si è ingegnerizzato il sistema della tangente. In certi casi è diventato legale ciò che una volta non lo era. Infine, è intervenuto uno scoramento dell’opinione pubblica a cui si è fatto credere che spesso le colpe sono di chi ha scoperto il reato, non di chi lo ha commesso.
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