sabato 26 dicembre 2015

BERLINO: GUERRA ALLE NOSTRE BANCHE (LE LORO, SALVATE DA NOI)

Lars Feld

La Germania non vuole che l’Italia salvi le sue banche traballanti, anche se il nostro paese ha contribuito al salvataggio di Grecia, Irlanda, Islanda e Portogallo, mettendo al sicuro la finanza tedesca. 
E’ una dichiarazione di guerra, quella che ha raccolto Federico Fubini sul “Corriere della Sera”, da parte di Lars Feld, uno dei “cinque saggi” che consigliano il governo tedesco e probabilmente il più vicino al ministro delle finanze Wolfgang Schäuble. Feld pretende che l’Italia ricorra al bail-in, senza misericordia. Bail-in, spiega il “Foglio”, significa «azzerare o tagliare il valore delle azioni, di tutte le obbligazioni e dei saldi di conto corrente per la parte sopra i 100.000 euro, fino a ridurre del 12% le passività di qualunque banca che riceva un aiuto di Stato». È la nuova legislazione europea, voluta dalla Germania, che entra in vigore il 1° gennaio. Fubini domanda: «Lei prevede che in Italia ci sarà bail-in dei conti correnti, quindi contagio e poi una richiesta di aiuto al fondo salvataggi, con l’arrivo della Troika?». Feld risponde: «Prevedo un pieno bail-in. 

I tagli alle obbligazioni e ai conti correnti sopra i 100.000 euro dovranno aiutare a ristrutturare le banche, perché la Commissione Ue impedirà salvataggi da parte del governo o sussidi nascosti agli istituti. Non saranno permessi».

Feld “non crede” che si arriverà a una richiesta di aiuto al fondo-salvataggi Esm. «Non prevedo un contagio. In ogni caso, staremo a vedere». Dice “staremo a vedere”, scrive Fubini, e poi Feld «si mette a ridere». Altra domanda: «Non crede dunque che colpire obbligazionisti e correntisti delle banche possa creare contagio finanziario e instabilità, anziché stabilizzare la situazione?» Risposta: «Il bail-in può sempre essere seguito da instabilità. C’è sempre rischio di contagio quando si interviene su una banca, ma sarebbero colpiti solo i depositi sopra ai 100.000 euro, non quelli piccoli e medi. Dunque non sono rischi pesanti». La Germania, aggiunge Fubini, ha offerto circa 250 miliardi di aiuti di Stato alle proprie banche. Se il bail-in è un’idea così giusta, perché Berlino non l’ha mai applicato? «All’epoca non aveva senso colpire i risparmiatori, perché il contagio finanziario era già realtà», risponde Feld. «Se hai paura del contagio, ma non hai le prove che ci sarà, non c’è ragione di ricapitalizzare le banche con denaro pubblico. Il mio consiglio è: fatelo e vediamo cosa succede».

Dunque in Germania si pensa e si dice che l’Italia andrà presto in pieno bail-in, e non c’è ragione che l’Europa consenta al governo Renzi di evitarlo perché non sarebbero colpiti i conti correnti sotto i 100.000 euro. I soldi aggredibili dal bail-in sarebbero 1.122 miliardi. Nel frattempo Margrethe Vestager, il commissario europeo alla concorrenza, ex vicepremier danese della sinistra liberale, che da un anno ha in mano il dossier sul futuro delle banche nella terza economia dell’areaeuro, non parla: «Non si ricorda una sola frase dedicata a spiegare la sua posizione sul sistema degli istituti di credito in Italia», scrive Fubini sul “Corriere”. «L’unica cosa che si ricorda è l’attitudine dei suoi funzionari a bloccare di fatto la riforma di cui l’Italia ha bisogno nel modo più pressante: una “bad bank”», cioè «un’azienda, spesso forte di garanzia da parte dello Stato, costituita per comprare crediti in default delle banche e liberare così il sistema dal rischio di altri dissesti simili a quelli di banche come Etruria e Marche, o delle casse di risparmio di Ferrara e Chieti».

In Italia i prestiti ad alto rischio di almeno parziale insolvenza – le “sofferenze” – sfiorano i 200 miliardi di euro («qualcosa come circa sette leggi di Stabilità»). E il denaro accantonato dallebanche per farvi fronte è poco più di metà. Il sistema resta sottocapitalizzato e avrà bisogno di rafforzarsi, «ma senza una rapida ripulitura dei bilanci grazie a una “bad bank”, non solo non potranno tornare i prestiti e gli investimenti necessari alla ripresa: più pericolosa ancora è la prospettiva che alcune banche continuino a dissanguarsi sui crediti deteriorati, fino ad aver bisogno di nuovi salvataggi. E dal 2016, secondo l’ormai nota legge europea, qualunque intervento pubblico implica sforbiciate alle obbligazioni degli investitori e ai conti della clientela», aggiunge Fubini. Il commissario Vestager? Teme che l’Italia rischierebbe di concedere aiuti di Stato ai suoi istituti. «La garanzia sulle eventuali perdite della “bad bank” potrebbe infatti incoraggiare quest’azienda a comprare i crediti dallebanche a prezzi più alti di quelli di mercato. E l’unica affermazione ufficiale dei portavoce della Commissione Ue è che quelle cessioni devono invece avvenire ai prezzi che accetterebbe un investitore privato».

Per il complesso degli istituti italiani, prosegue Fubini, questo significherebbe aprire un buco di capitale da circa 40 miliardi, visto che le stime sul valore delle “sofferenze” a bilancio (accettate dalla Bce) sono molto superiori ai prezzi di mercato. «Con l’implicazione di colpire azioni, obbligazioni e conti correnti su tutto il sistema: potenzialmente, milioni di persone». Nel 2009, nel caso di aiuti di Stato, la Commissione Europea ammetteva prezzi distanti da quelli di mercato, ma questa regola è oggi ignorata dai funzionari di Vestager. «Più sorprendente ancora: vengono ignorate anche le norme sulle deroghe all’obbligo di colpire i risparmiatori», ribadite nel 2014 e nel 2013 (possibile derogare alla sforbiciata sul risparmio, se tale misura mettesse «in pericolo la stabilità finanziaria» o determinasse «risultati sproporzionati»). Perché adesso l’Ue va contromano? «La risposta – continua Fubini – è forse in un documento fatto circolare dal ministero delle finanze tedesco, che ci riporta alle dichiarazioni, apparentemente sfrontate, di Lars Feld». Il documento recita: «È di fondamentale importanza minimizzare i rischi a carico dei contribuenti. Occorre assicurare un credibile bail-in, invece di mettere in comune i rischi bancari».

Dunque, conclude il giornalista del “Corriere”, Berlino teme di pagare per salvare le bancheitaliane e dà mandato alla Commissione di essere inflessibile. Renzi sta attaccando la Merkel da diversi giorni su tre punti: banche, migranti e politica energetica. Le tensioni sono venute allo scoperto all’ultimo vertice dei capi di Stato e di governo (Renzi alla Merkel: «Non potete raccontarci che state donando il sangue all’Europa, cara Angela»). Questione migranti: Merkel continua ad accusare l’Italia di barare sulla loro nazionalità per scaricarli poi sui paesi nordici. E dice che non ci stiamo sbrigando a preparare i centri d’accoglienza, detti “hotspot”, dove si deve procedere all’identificazione di ognuno prima dello smistamento. Renzi ha risposto: «I numeri della relocation sono inaccettabili». “Relocation”, cioè redistribuzione dei migranti che sbarcano da noi o in Grecia. Renzi: «Siamo al 50% degli hotspot e allo 0,2% della relocation». Il premier contesta anche i tre miliardi da dare alla Turchia, con contributi anche nostri, che servirebbero ad evitare l’arrivo di due milioni di siriani soprattutto in Germania.

Poi c’è la questione energia: la Ue a trazione tedesca ha bloccato il gasdotto South Stream che avrebbe trasportato il metano russo attraverso i Balcani e l’Italia. Ma lascia che si faccia il gasdotto North Stream, che passerà invece per laGermania. «Un’evidente contraddizione: Berlino si attende che tutti gli stati Ue prolunghino le sanzioni economiche alla Russia senza fiatare, salvo procedere essa stessa al raddoppio del gasdotto». Ma è la questione delle bancheeuropee, insiste il “Foglio”, la bomba atomica pronta ad esplodere in Italia qualora non si trovasse un accordo politico. Unione Bancaria: «I primi due passi sono stati fatti, e cioè abbiamo una sorveglianza bancaria unica e uguale per tutti, e un criterio condiviso per risolvere la crisi di un istituto: se si vuole salvare una banca in fallimento con del denaro pubblico, bisogna prima rasare in tutto o in parte il valore di azioni e obbligazioni secondarie e depositi nella parte eccedente i centomila euro. Questo dal prossimo 1° gennaio».

L’Italia, scrive Giorgio Dell’Arti sulla “Gazzetta dello Sport”, dice che il sì a queste regole venne dato in cambio della promessa che poi si sarebbe messo in piedi un terzo pilastro: una garanzia comune dell’area euro su tutti i conti correnti fino a 100.000 euro. La Merkel nega che questa promessa sia stata fatta. «E, sostenuta dalla Bundesbank e da Schäuble, non intende minimamente mettere a rischio il portafoglio dei suoi elettori per salvare banche del Sud (la posizione italiana è condivisa da Hollande)». In realtà, precisa Fubini, la garanzia su quei depositi c’è già: e a darla, come si sa, sono i singoli Stati. «Ma le file davanti agli sportelli in Grecia dell’estate scorsa dimostrano che risparmiatori e correntisti non credono alle garanzie sui loro conti offerte dai governi più indebitati, se questi sbandano. Serve una tutela europea, come promessa che non tornerà più un panico agli sportelli come quello visto ad Atene cinque mesi fa e per far capire a 300 milioni di cittadini che l’euro è utile, ed è qui per restare. Di qui la proposta di una garanzia comune dell’area euro, prevista nei piani dell’Unione Bancaria. Di qui però anche la frenata di Berlino».

Schäuble e l’intera opinione pubblica in Germania non intendono rischiare di dover pagare per stabilizzare le banche di altri paesi, spiega il “Corriere”. Non, almeno, fino a quando le banche e il debito pubblico di tutta l’Europa del Sud – soprattutto in Italia – non sembreranno ai tedeschi davvero in sicurezza. E per adesso non è così. Visto dall’Italia, può apparire un amaro paradosso. «Il debito pubblico italiano – scrive Fubini – viaggia oggi su livelli di 59,8 miliardi di euro(il 3,7% del Pil) in più di quanto doveva a causa del contributo del governo di Roma ai salvataggi di Grecia, Irlanda, Islanda e Portogallo fra il 2010 e il 2012. Nel frattempo, proprio grazie a quegli interventi, le banche tedesche sono uscite miracolosamente illese da investimenti a rischio per un totale di 334 miliardi nei quattro paesi in crisi. Fin qui il contribuente italiano ha pagato per salvare gli istituti tedeschi. Non il contrario».

Naturalmente, i tedeschi non ammettono la verità. E a Berlino e Francoforte «nessuno crede più che l’Italia cerchi di ridurre il suo enorme debito pubblico», scrive Fubini. «Le continue richieste di “flessibilità” a Bruxelles sul bilancio pubblico – inclusa l’ultima misura “anti-terrorismo”, il bonus da 500 euro per mandare i 18enni a teatro – hanno convinto tutti in Europa che il governo di Matteo Renzi non farà alcun tentativo di risanare il debito». Il vertice della scorsa settimana, chiosa Valerio Lo Prete sul “Foglio”, non ha minimamente spostato le posizioni di nessuno dei contendenti. Renzi ha commentato: «Non ho attaccato la Germania. Ho solo fatto delle domande. Dobbiamo uscire da questa cultura della subalternità». Lo Prete: «Domandare è lecito, ma rispondere rimane pur sempre una cortesia che al momento è appannaggio della cancelliera tedesca. E ad oggi di risposte non se ne intravedono».

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