lunedì 7 dicembre 2015

ELEZIONI FRANCIA, GIANFRANCO FINI ALL'HUFFPOST: "MARINE LE PEN È PIÙ SIMILE A GRILLO E TSIPRAS CHE A SALVINI"


“Assolutamente no, il successo della Le Pen non si spiega solo con la paura e come reazione al 13 novembre. E non si può liquidare come estremista o populista. È qualcosa di più profondo”. Inizia così una lunga conversazione con Gianfranco Fini sul successo di Marine. Rigoroso nell’analisi, l’ex presidente della Camera si appassiona molto poco al gioco nostrano su chi beneficerà in Italia al vento d’Oltralpe. E assai di meno ai titoli trionfalistici dei giornali della destra italiana che due settimane fa titolavano Bastardi Islamici e ora gioiscono per la Le Pen che dopo gli attentati ha pure sospeso la propaganda elettorale in nome dello spirito repubblicano: “La differenza di serietà – dice Fini – mi pare evidente”. Quando passa al confronto di cultura politica, l’ex presidente della Camera, dice (fuori dal coro): "In Italia? E' più simile a Grillo che a Salvini".

Presidente Fini, lei dice che il successo della le Pen non si spiega solo col 13 novembre.
Esattamente. Il Front National nella versione di Marine, dopo il parricidio, non può essere in alcun modo etichettato come movimento estraneo allo spirito repubblicano. Veda, il fronte del fondatore era nostalgico dell’Algeria, di Vichy, della Francia pepenista e colonialista, anti-semitismo compreso. La figlia ha determinato una mutazione genetica del fronte, mettendolo in sintonia con lo spirito profondo della Francia.

Analizziamo meglio questa mutazione genetica.
L’etichetta “estremista” o “populista” dice assai poco; il Front national non è estraneo alla storia repubblicana e democratica della Francia che è intrisa del mito della grandeur gollista. Quando parlo di questo spirito mi riferisco ad esempio all’orgoglio con cui la Francia disse di no alla Ced, al successo del no al referendum sulla costituzione europea...

La grandeur, appunto.
Se non si comprende questo spirito che è all’origine stessa della costituzione, si rischiano spiegazioni semplicistiche. Il vero, grande successo della Le Pen è stato un altro. E cioè quello di conquistare una sorta di egemonia culturale. E non uso questo termine a caso, essendo lei è una lettrice attenta di Antonio Gramsci: lei ha compreso quel che prima indicavo. Vale a dire riempire di contenuti, di valori, di aspettative in sintonia con la società francese il vuoto che si era determinato per l’affievolirsi dei socialisti sui temi della sicurezza e della legalità ma anche dell’esprit originario del gollismo. E la sua rivoluzione culturale l’ha posta al centro del dibattito.

Andando oltre l’impostazione originaria nazionalista ed estremista.
Macché nazionalismo… In Francia il nazionalismo è una virtù. È bene tenere a mente questo elemento. L’Italia e la Francia sono nazioni cugine, non sorelle proprio perché è diversa la cultura dello Stato e della Nazione, perché sono profondamente diverse le storie nazionali. In Francia, ad esempio, il capo della destra era il capo dello resistenza…

Per non parlare del senso dello Stato.
Appunto, in Francia molto forti per ragioni storiche. Ed è il motivo per cui loro non mai hanno preso in considerazione modifiche in senso federalista, a proposito di chi fa facili paragoni con la Lega. Ciò premesso quella che ho chiamato rivoluzione culturale della Le Pen sta nella risposta che dà alla crisi e alla globalizzazione alle dinamiche. Ed è una risposta statalista, non liberista.

Lo può spiegare meglio?
La risposta della Le Pen alla globalizzazione, alla competizione, alla crisi periferie, la porta a posizione anti-europeista - e questo è il grande tema per la destra italiana – ma anche a posizioni che evocano le partecipazioni statali, il socialismo di mercato.

Lei dice che il Front è un partito ideologicamente trasversale. Sulla sicurezza dice cose di destra, anzi si muove nel solco dello spirito gollista e Repubblicano per cui, dopo la strage, evita polemiche e dice: prima la Repubblica. Sui temi economici le parole d’ordine evocano quelle della sinistra, nella critica alla globalizzazione.
E infatti prende i voti delle periferie, delle banlieu: operai, ceti medi decaduti, giovani disoccupati, immigrati o meglio, cittadini francesi di seconda generazione, ma anche la classe operaia.

Presidente Fini, lo dico senza girarci attorno. Il voto dice che su questi temi sta saltando l’Europa?
Dice anche che l’Europa, così com’è, non regge più. E difendere l’esistente è l’errore più stupido che possa fare chi è europeista. Lo abbiamo visto in queste settimane sul terrorismo: c’è stata la risposta degli stati nazionali, compresa Germania, non una risposta europea. Ma l’Europa non regge come patto sociale. Del resto è evidente: come fai a reggere se hai una politica monetaria ma non una politica economica e fiscale condivisa?

E ora si vota in Spagna, poi in Inghilterra e alle amministrative in Italia. Prevede un effetto trascinamento?
Ma guardi, io rimango dell’idea che ci siano specificità nazionali in relazione alle varie storie dei singoli paesi, ma non c’è dubbio che ci saranno voti in tutta Europa che possano essere definiti analoghi: paura per il futuro ovunque, senso di incertezza sulla propria identità, e crescerà un voti anti-europeo nella illusione di ritrovare sicurezza e identità rinchiudendosi nella propria frontiera.

In Italia la destra esulta, confidando nel vento francese.
Ho letto i giornali della destra (ride, ndr). Io non vedo un effetto trascinamento, automatico e di proporzioni ampie. Se però devo fare un paragone, mi pare di vedere più analogie col movimento di Grillo che con Salvini.

Con Grillo?
Le ho descritto la dimensione “anti-sistema” ma non ostile allo spirito repubblicano della Le Pen, che anche oggi parla di regime Sarkò-Hollande. E infatti Sarkozy, di intesa con la sinistra, lo ha capito e questa è la vera inaspettata novità del voto. È chiaro che è uno schema che evoca Grillo - o Tsipras prima maniera - perché entrambi sono vergini rispetto alla prova del governo ma anche perché queste due forze “anti-sistema” ma democratiche tengono nel gioco democratico una quota rilevante di elettori che non andrebbero a votare. Ha dotato come in Francia vota il 50 per cento degli elettori? Beh, se togli i voti della Le Pen arriviamo a quella che Dahrendorf chiamava la democrazia senza demos. Lo stesso vale per l’Italia.

E Salvini?
Della Lega questo non lo puoi dire. E non solo perché ha governato e governa da anni, ha sindaci, amministratori, ha espresso ministri. Ogni destra è figlia della storia nazionale e in Francia non solo non puoi immaginare partiti federalisti ma la secessione è inimmaginabile.

Poi c’è il tema Berlusconi. Non crede che la fotografia di Bologna abbia già invecchiato l’operazione Salvini?
Bologna è stata la fotografia di una prova di forza riuscita che rivela la debolezza del progetto. Ha sancito un protagonismo nell’ambito della coalizione: dà le carte ma non riuscirà a interpretare milioni di elettori di centrodestra.

Concludiamo così: Marine è pronta per l’Eliseo?
Non è da escludere a priori. Però è semplicistico dire che essere il primo partito le spiana la strada per l’Eliseo. Sarà molto interessante vedere il risultato di questa tornata amministrativa e cosa faranno gli elettori in quelle regioni in cui si ritirano i socialisti? E poi, attenzione, Marine e Marion non sono sorelle emozigote. Le due signore danno interpretazioni diverse su dinamiche rilevanti. La Marine non trova nulla di scandaloso nell’unione di persone dello stesso sesso. Marion è integralista cattolica contro l’aborto. La Francia ha fatto della laicità in pilastro della sua cultura. Insomma, è un movimento composito. E le differenze non sono sempre un elemento di forza.
da.huffingtonpost

Nessun commento:

Posta un commento