di Alfredo Jalife-Rahme
Il portale israeliano Globes da voce all’informativa del giornale bitannico-quatarense “Al-Araby Al-Jadeed” circa il fatto che “Israele acquista la maggior parte del petrolio contrabbandato dal territorio sotto controllo degli jihadisti dello Stato Islamico”.
Globes sottolinea che i contrabbandieri turchi e curdi trasportano il petrolio dai territori controllati dagli jihadisti in Siria ed in Iraq e lo rivendono ad Israele secondo l’informativa dei media russi ed arabi.
Tuttavia si sbaglia nell’indicare il livello di produzione che colloca nel minimo insignificante dai 20.000 ai 40.000 barili diari , quando in realtà si producono 2 milioni di barili dal giorno, a tale livello che, se gli jihadisti fossero membri dell’OPEC, sarebbero il nono produttore, quasi al livello del Messico o del Venezuela.
Secondo Globes, il petrolio viene estratto a Dir A-Zur e in due giacimenti in Iraq e viene poi trasportato alla città curda di Zakhu, in un triangolo territoriale vicino alle frontiere di Siria, Iraq e Turchia. Vedi: Israel buys most oil smuggled from ISIS territory – report
Risulta che gli operatori di mercato (intermediari) di Israele e della Turchia arrivano alla città di Zakhu, dove si accordano sui prezzi, ed il petrolio viene contrabbandato alla città turca di Silop, marcato come di origine delle regioni Kurde dell’Iraq e venduto ad un prezzo tra 15 e 18 dollari al barile, sul mercato israeliano, da un uomo sui 50 anni, con doppia cittadinanza greco-israeliana, conosciuto come il dr. Farid, che fa trasportare il petrolio attraverso vari porti turchi e poi su altri porti, con Israele fra i suoi principali destinatari, essendo il più importante il porto di Ashdod (Israele).
Mentre il petrolio del tipo Brent e WTI era venduto rispettivamente a 45 e 41 dollari al barile, gli jihadisti lo rivendono a basso prezzo fino ad un terzo del suo valore. Un Dumping petroliero geopolitico terrorista?
Globes occulta che il petrolio contrabbandato viene anche acquistato dalle compagnie multinazionali anglossassoni Exxon, BP e Conoc, il cui obiettivo delinerato risiede nell’abbassare i prezzi per affondare le risorse della Russia.
La guerra degli jihadisti è multidimensionale e comprende anche il fatto di abbattere il prezzo dell'”oro nero”.
Di sicuro Globes ha svelato i legami di David Korenfeld Federman ed i suoi intermediari come un intimo amico del premier israeliano Netanyahu ,mediante la “fetida legge di Korenfeld”, la cui sposa, Sandra Kershenobich, risulta essere una aviatrice senza elicottero: riscuote 5 mila dollari al mese dalla cancelleria di Tel Aviv per non fare nulla.
Il Financial Times aveva riportato che Israele otteneva il 75% del suo rifornimento di petrolio dal Kurdistan iracheno, quando più della terza parte di tali esportazioni passano per il porto turco di Ceyhan.
Più in là dei legami dietro le quinte, che sono operanti tra Israele e il Kurdistan iracheno, che anela ad una sua indipendenza, il Financial Times informa che il 77% della domanda di Israele, di 240 mila barili al giorno, proviene dal petrolio curdo, che molte volte si confonde con il contrabbando degli jihadisti nei sepolcri delle mafie multietniche e multi teologiche regionali.
L’esagerata durezza di Israele di fronte all’arrichimento dell’uranio da parte dell’Iran, mon ha alcuna equivalenza con il suo irrispetto delle leggi internazionali che tanto si attrezza a calpestare.
Il Financial Times espone che “il governo di Israele non commenta la fonte del suo rifornimento di energia, che considera materia di sicurezza nazionale”.
Secondo Al-Araby Al-Jadeed, “Israele si è trasformato in una certa forma nel principale acquirente del petrolio jihadista. Senza Israele, la maggiorparte del petrolio prodotto dagli jihadisti sarebbe rimasto deambulando tra l’Iraq, la Siria e la Turchia. Più ancora,. le principali imprese non avrebbero ricevuto il petrolio se non ci fosse stato dall’inizio un acquirente in Israele.
“Russia Insider” (agenzia) si è aggiunta al plotone di denuncia globale e commenta che “Israele è il principale acquirente del petrolio jihadista”.
Si azzarderà uno dei ” 62 paesi della coalizione anti ISIS “che viene diretta dagli USA, ad imporre sanzioni nello ” stile iraniano” ad Israele, per la sua ennesima violazione delle leggi internazionali e per il suo finanziamento indiretto del terrorismo jihadista mediante l’acquisto clandestino del petrolio di contrabbando?
Desta attenzione il fatto che la intensa indagine dell’acquisto clandestino del petrolio contrabbandato dagli jihadisti dell’ISIS, sia stata realizzata da Al-Araby Al-Jadeed, con sede a Londra, che ha iniziato le pubblicazioni del suo periodico in Settembre del 2014 e delle sue trasmissioni televisive nel Gennaio del 2015 con il finanziamento del Qatar, sotto la direzione del palestinese Azmi Beshara, nato a Nazareth e in precedenza membro del Knesset.
Quale è il nome del gioco? Chi sta ingannando chi?
La sua sintesi è demolitrice: “Il petrolio del gruppo islamico finanzia la sua sete sanguinaria (…) come arriva ad Israele”?
Al-Araby Al-Jadeed dimostra ampiamente ed in dettaglio la “rotta verso Israele” del contrabbando del petrolio dell’ISIS “trasferito ad Israele attraverso i porti turchi di Mersin, Dortyol e di Ceyhan”: un operativo transnazionale che viene appoggiato da “un funzionario di profilo molto alto dell’Occidente”. Chi sarà questo elemento dell’Olimpo occidentale? Apparterrà alla farisea coalizione anti ISIS dei 62 paesi diretta dagli Stati Uniti?
Domanda stupida: perchè il rotativo britannico -qatarì non cita le mega multinazionali petrolifere anglosassoni Exxon Mobil e BP che partecipano nella lucrativa suba asta del petrolio clandestino dell’ISIS?
Gli operatori di mercato del petrolio, la Petraco (britannica), Vitol (Svizzera Olanda) e laTrafigura (Olanda) sono stati indiziati come i principali gestori della vendita dell’illecito petrolio jihadista ad Israele. Questi operatori hanno un giro d’affari rispettivamente di 270 mila milioni di dollari, 127 mila 600 milioni di dollari nel 2014, Petraco (Isole del Canale) ha sede in un paradiso fiscale britannico.
La pirateria neoliberale anglosassone che ha sede nei paradisi fiscali anglosassoni rappresentano un gruppo di isole divise in due settori, Jersey e Guernsey, di 195 kilómetri quadradi e 150 mil abitanti – sesto luogo globale come PIL procapite , nel Canale della Manica si ostentano come dipendenze della Corona Britannica ma non fanno parte nè del Regno Unito nè dell’Unione Europea.
Pirateria finanziaria fiscale con incesto petroliero jihadista nel suo centro di gravità: Israele.
Fonte: La Jornada
Nessun commento:
Posta un commento