venerdì 1 gennaio 2016

MANGIO, QUINDI UCCIDO: I LIMITI DELL’IGNORANZA ECOLOGICA



“Perché pensiamo di doverci appropriare di tutte le terre coltivabili del mondo per sfamare gli esseri umani?”





Un mio affezionato lettore mi ha segnalato l’articolo pubblicato sul blog “Effetto Risorse” dal titolo provocatorio “Mangio, quindi uccido: i limiti del vegetarianismo“. Chiedendo il mio parere in merito a quanto scritto, mi ha posto alcune domande alle quali ho ritenuto di dover dare una risposta pubblica, considerato l’interesse generale sull’argomento. Mi ha colpito molto una frase della sua lettera: “Per molti ambientalisti fare a meno della braciola è molto dura”. Ed effettivamente è così, non solo per ragioni di gola, ma anche per immotivate ideologie pseudoscientifiche. Il lettore mi chiede, inoltre, un parere su Allan Savory, “che sostiene il beneficio dell’allevamento di animali” e se la carne biologica sia ecologicamente sostenibile per tutti.

Ecco ciò che penso in merito. L’articolo riportatomi è, purtroppo, intriso dell’ignoranza ecologica che accomuna molti degli oppositori alle diete vegetariane e vegane, i quali tirano in ballo il maggior consumo di risorse dovuto ai vegetali rispetto agli animali. Alcuni di loro, e ne ho avuto esperienza diretta con un consulente FAO (e questo la dice lunga!), sostengono persino che chi si alimenta di carne accumula nel proprio organismo meno pesticidi di chi mangia solo vegetali, perché i “pesticidi vengono spruzzati direttamente sulle piante”. In questo modo, queste persone, danno prova di non conoscere assolutamente nulla di ecologia, del processo noto come “biomagnificazione” (che porta a un bioaccumulo degli inquinanti e delle tossine man mano che si sale nella catena alimentare) e di non avere alcun senso critico indipendente.

Nel loro semplicistico modo di ragionare, poiché i vegetali necessitano, apparentemente, di più terra rispetto ai pascoli, evitare di mangiar carne aumenta il consumo di suolo e risorse. Il nodo gordiano della questione sta proprio nella frase dell’articolo pubblicato sul blog: “Gli altri due terzi [delle terre arabili] non sono in grado di far crescere vegetali e potrebbero non avere acqua sufficiente per la coltivazione di alberi, ma possono, con una gestione accurata e una giusta presenza di bestiame, sostenere animali commestibili”. Tutto ciò è assolutamente falso e scientificamente scorretto. Soltanto persone prive di cultura ecologica possono affermare simili assurdità. È lapalissiano che ad ogni passaggio verso il livello superiore della piramide alimentare circa il 90% dell’energia originaria vada sprecato (a causa di scarti, produzione di calore, metabolismo, respirazione, etc.). L’energia solare, ad esempio, convertita dalla piante attraverso la fotosintesi si trasforma in 1/10 della biomassa degli erbivori. Vale a dire che 1 kg di vegetali (ad esempio di soia o frumento) diventano 100 g di carne di manzo. Quindi, alimentarsi ai livelli più alti della piramide aumenta, inevitabilmente, il consumo di risorse. Vale lo stesso discorso per le zone non coltivabili perché, se queste sono state risparmiate dall’agricoltura, non potrebbero altresì garantire il sostentamento di enormi pascoli. Quello proposto nell’articolo, e da molti altri oppositori del vegetarianesimo, è un discorso davvero semplicistico e ignorante. Persino gli erbivori selvatici necessitano di migrare per trovare pascoli fertili essendo scarse le risorse presenti in un singolo territorio. Vi sono alcuni luoghi della Terra dove erbivori in semi-libertà vengono lasciati ad alimentarsi in territori non coltivabili, ma il loro impatto sugli ecosistemi è notevole (poiché sottraggono risorse alla fauna selvatica consumando piante selvatiche, a volta anche rare) e le proteine da questi fornite sono utili solo per piccoli gruppi umani in costante migrazione (alcuni popoli indigeni del nord della Russia o dell’Alaska, ad esempio). Ma se questo si estendesse su scala planetaria l’effetto sarebbe l’evidente distruzione degli ecosistemi naturali non coltivabili e l’insufficienza di risorse necessarie per alimentare l’intera popolazione mondiale mediante questa poco lungimirante metodica.
Pertanto, sostenere l’idea che alimentarsi con proteine animali sia più ecologico di una dieta vegetariana è intellettualmente disonesto. Oltre allo spreco del 90% delle risorse destinate all’agricoltura, che si traduce in un consumo di terre coltivate per alimentare il bestiame di 9/10 maggiore rispetto al fabbisogno di chi si alimenta di vegetali, e nella sottrazione di risorse energetiche potenzialmente utili ad altre 9 persone oltre a se stessi (quindi parliamo anche di un aspetto umanitario), coloro che sostengono “i limiti del vegetarianesimo” dimenticano, colpevolmente, di citare l’enorme inquinamento causato dai pascoli (con conseguente eutrofizzazione dei fiumi, rilascio di antibiotici e ormoni nell’ambiente, emissione di oltre il 40% dei gas serra prodotti a livello mondiale – un bovino adulto, ad esempio, emette al giorno in atmosfera più metano di un’automobile a gas). Inoltre, questi intellettuali benpensanti omettono di ricordare che per alimentarsi in maniera vegetariana/vegana basta un orto vicino casa e qualche gallina per le uova (volendo), mentre per alimentarsi con carni e pesci è imprescindibile un enorme trasporto aereo, navale, ferroviario, su gomma, etc. di animali allevati a centinaia, a volte migliaia, di chilometri di distanza dal luogo dove verranno acquistati dal consumatore finale, con tutte le implicazioni ambientali relative. Infine, questi opinionisti da blog sono soliti ignorare del tutto il mare e tralasciare il fatto che il consumo di pesce e prodotti ittici abbia portato alla riduzione di oltre l’80% delle popolazioni pelagiche: alcune specie, come il tonno rosso, potrebbero estinguersi entro 10 anni!
Quanto proposto da Allan Savory è soltanto propaganda di uno pseudoecologo che, senza alcuna prova scientifica, ha voluto proporre un metodo valido forse, ma probabilmente neanche, solo nel suo ranch nello Zimbabwe. Il pascolo intensivo “migrante e rotante” professato nella sua Gestione Olistica (o Holistic Management) è l’espressione di una visione limitata dell’ecologia e della scienza, non c’è proprio nulla di olistico. Pensare di incrementare le risorse alimentari permettendo a enormi mandrie di distruggere steppe, praterie, savane e macchie mediterranee (tutti luoghi non coltivati), degradando il suolo, inquinando i fiumi di deiezioni massive, estinguendo specie vegetali selvatiche e producendo gas serra in quantità molto più elevata di quanto l’assurda idea di stoccaggio del carbonio nei terreni pascolati possa mai fare, è pura follia (qualcuno, ad esempio, ha spiegato a Savory che le mucche respirano e hanno flatulenze tali da essere paragonabili a enormi emettitori di gas; che la desertificazione è causata e non ridotta dagli animali d’allevamento; e che una popolazione di erbivori selvatici in migrazione e in equilibrio con la vegetazione è ben diversa da una mandria gestita dall’uomo, nel tutelare una prateria dalla desertificazione?).

Per approfondire il dibattito sulla pseudoscienza di Allan Savory riporto i seguenti contributi:
una ricerca pubblicata sulla rivista International Journal of Biodiversity: http://www.hindawi.com/journals/ijbd/2014/163431/;
una ricerca pubblicata sulla rivista Agricultural Systems: http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0308521X13001480;
un articolo sulla conferenza TED da lui tenuta: http://www.thewildlifenews.com/2013/03/18/alan-savory-gives-a-popular-and-very-misleading-ted-talk/;
un articolo di George Monbiot sul Guardian:http://www.theguardian.com/environment/georgemonbiot/2014/aug/04/eat-more-meat-and-save-the-world-the-latest-implausible-farming-miracle;

In merito alla carne biologica, ritengo che questa possa essere considerata piuttosto un’integrazione saltuaria a una dieta di base vegetariana, ma che, come nel caso della carne non biologica, non sarebbe sostenibile se fosse considerata l’alimentazione mondiale di base. Per un’analisi dei benefici del biologico rispetto al tradizionale, invito a leggere il seguente articolo: http://robertocazzollagatti.com/2012/11/23/lalimentazione-biologica-fa-bene-a-tutti-anche-se-la-pseudoscienza-dice-il-contrario/

In tutto ciò ho, ovviamente, dato per scontato che in una rigida applicazione della logica al provocatorio titolo “Mangio, quindi uccido” dell’articolo pubblicato sul blog Effetto Risorse, sarà evidente agli stessi autori che, se è vero che mangiar piante significa comunque uccidere un essere vivente sebbene non siamo ancora certi della sua sofferenza (essendo le piante organismi modulari con un potenziale sistema nervoso concentrato nell’apparato radicale), alimentarsi di pomodori, zucchine, melanzane, etc. e cereali, legumi, frutta, etc. non provoca né sofferenza e nemmeno la morte dell’essere vivente da cui tali risorse vengono ricavate. Ciò che è invece certo è che un maiale allevato in 4 mq e alimentato di scarti e ormoni, soffre sia durante la sua breve esistenza, sia mentre muore sgozzato e dissanguato.
Sostenere un discorso ecologico vuol dire riconoscere le problematiche ambientali e analizzarne gli aspetti scientifici. Per questo supporto fortemente il pensiero del regista James Cameron, secondo il quale “Non puoi considerarti ambientalista se mangi la carne”. Se a questo si aggiunge il problema morale non di voler evitare la morte in ogni caso (perché questo non è possibile, è una legge di Natura: per gli organismi autotrofi – cioè non in grado di fare la fotosintesi – vivere significa obbligatoriamente provocare la morte di altri esseri per sostenersi), ma di voler ridurre il più possibile la sofferenza, la risposta alla domanda se il mangiare animali sia ecologico ed etico appare alquanto scontata.

Roberto Cazzolla Gatti, Ph.D.

Biologo ambientale ed evolutivo,

Associate professor at Tomsk State University, Russia

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