martedì 10 maggio 2016

L’ USO PERVERSO DELLA SCIENZA – GIOCARE CON IL PIANETA




MALEDETTO NEGAZIONISMO ATOMICO

Di Dario Faccini
LA VERITÀ È LENTA MA INESORABILE

E’ del 1952, il primo studio USA che valuta l’impatto climatico delle polveri sollevate da un ordigno atomico: nessun effetto apprezzabile.[1]

Nel frattempo però la corsa agli armamenti nucleari, si riflette nella costruzione di ordigni sempre più potenti. Nel 1954, presso l’atollo Bikini nelle isole Marshall del Pacifico, viene fatto detonare Castle Bravo, la prima bomba H e la più potente mai testata sul campo dagli USA: ben 15Mton, circa 1000 volte più potente di quella usata su Hiroshima. La potenza dell’esplosione sorprende i vertici militari. 




E’ 3 volte più potente rispetto alle previsioni. In meno di 10 minuti il fungo atomico arriva a 40km di altezza e si espande con una velocità di 100m/s, in pratica ha attraversato tutta la stratosfera (dove c’è lo strato di ozono che protegge la biosfera dai danni dello raggi UV). L’area del fallout radioattivo è senza precedenti e supera ampiamente le deboli fasce di sicurezza previste: 20000 persone dagli atolli vicini vengono evacuate con colpevole ritardo dopo essere state esposte ad alti livelli di radiazioni, le loro isole contaminate, e vent’anni più tardi 7 bambini su 10 svilupperanno tumori alla tiroide. Persino un peschereccio Giapponese viene coinvolto nell’incidente e un marinaio muore. La nube radioattiva fa il giro del pianeta e arriva anche in Europa. L’opinione pubblica insorge e chiede di mettere al bando ai test nucleari.

Un indignazione che avrà poco successo. E’ la guerra fredda e l’opinione pubblica ha ben poca voce in capitolo. Poco dopo in Russia verranno testati ordigni nucleari sino tre volte più potenti di Castle Bravo.

In tutta questa vicenda è sfuggito un punto fondamentale: fin dove è arrivato il fungo atomico.


Figura 1. L’altezza minima e massima raggiunta dal fungo atomico di una testata nucleare in funzione della sua potenza. Sono evidenziate con (1) Little Boy(bomba sganciata su Hiroshima) e con (2) castle Bravo, la prima bomba H USA. Da wikipedia.

Qualche anno più tardi qualcuno si pone la domanda fondamentale: quale effetto sul clima possono avere polveri aspirati ad una tale altezza e che possono rimanere bloccate nella stratosfera? La risposta è ancora rassicurante: in confronto all’esplosione del vulcano Krakatoa(1883) non si sono mai registrati fenomeni climatici apprezzabili dopo l’esplosione di un ordigno atomico.

Per oltre 10 anni la questione delle polveri sollevate da esplosioni atomiche viene accantonata.

Poi qualcuno scopre che gli ossidi di azoto si “mangiano” lo strato di ozono (qualcuno che prenderà il Nobel) e allora si riaccende l’interesse e si scopre che per ogni Mton di potenza di un ordigno nucleare, si originano 5000 tonnellate di ossidi di azoto che vengono “aspirati” nella stratosfera assieme alla polveri. All’epoca però le misurazioni sull’ozono stratosferico sono ancora limitate e svolte lontano dalle zone dei test nucleari.

Si deve aspettare sino gli anni ’80, quando la Guerra Fredda giunge a termine, perché timidamente emerga la verità sui rischi maggiori di un conflitto nucleare. Nel 1982, il solito premio Nobel per la Chimica (sempre Paul Crutzen) firma con un collega un articolo che è tutto un programma: “Tramonto a mezzogiorno“. Finalmente vengono considerati insieme vari fattori tenuti sino a quel momento separati: l’uso contemporaneo di molti ordigni (guerra nucleare); gli effetti dovuti ai materiali infiammabili presenti nelle città e le foreste della terraferma; le ultime conoscenze di fisica dell’atmosfera.

Con una guerra nucleare, aree forestali grandi come la Danimarca, la Svezia e la Norvagia sarebbero trasformate in fumo. In aggiunta alle tremende fiamme che brucierebbero per settimane le città e i centri industriali, gli incendi imperverserebbero anche sulle coltivazioni ed è probabile che almeno 1,5 miliardi di tonnellate di combustibili fossili immagazzinati verrebbero distrutti.

Gli incendi produrrebbero un fitto strato di fumo che ridurrebbe drasticamente la quantità di luce solare in grado di raggiugere il suolo. L’oscurità persisterebbe per molte settimane, rendendo ogni attività agricola nell’Emisfero Nord virtualmente impossibile se la guerra avesse luogo durante la stagione vegetativa.

L’inverno nucleare è finalmente all’attenzione dell’opinione pubblica.

L’intera dottrina del “first strike”, cioé del colpire per primi con un attacco nucleare per avere l’unico vantaggio possibile che è quello di distruggere la capacità di rappresaglia atomica, viene ufficialmente sconfessata dalla Scienza.
ASCESA E SCONFITTA DEL NEGAZIONISMO ATOMICO

Quarant’anni di Guerra Fredda si mostrano per quello che sono: enormi spese militari che hanno messo inutilmente a repentaglio la civiltà umana. Gli interessi economici legate alla lobby atomica, soprattutto negli USA, finiscono sotto attacco mediatico e gli ingenti finanziamenti pubblici che li mantengono in vita sono a rischio.

Allora reagiscono.

Sulla stampa le pubblicazioni scientifiche che si susseguono nel modellizzare l’inverno nucleare iniziano a venire descritte come “scienza spazzatura” e gli autori come “irresponsabili”(e tanti saluti al Premio Nobel). Articoli sul Time Magazine e il Wall Street Journal iniziano a parlare di “autunno nucleare”, dando così l’impressione che sarebbe un fenomeno poi non così grave. Le accuse e le critiche si concentrano su incertezze modellistiche ‘a senso unico’.

Nel 2000 il Discovery Magazine inserisce l’inverno nucleare nelle 20 bufale scientifiche degli ultimi 20 anni.

Ma la Scienza è un osso duro. Più duro del denaro e degli interessi di parte.

Lenta ed inesorabile la verità scientifica torna a galla. Sempre. A volte, come in questa vicenda, con risvolti piacevolmente paradossali.

Così succede che durante lo sviluppo di modelli climatici sempre più accurati per studiare il riscaldamento globale, a qualcuno viene l’idea di applicarli anche per modellizzare un inverno nucleare. La Scienza “Spazzatura” del Clima che aiuta quella dell’Inverno Nucleare. Il contrappasso perfetto per i negazionisti di tutto il mondo.

Dopo 20 anni di negazionismo atomico, dal 2007 escono allora vari studi che riaprono la discussione ed espongono finalmente il re nudo [3][4][5][6]. Si concentra l’attenzione anche su conflitti regionali a piccola scala, come quello possibile tra India e Pakistan:


le analisi di un conflitto con 100 testate a “bassa resa” come quelle di Hiroshima (meno di un millesimo della potenza totale dell’arsenale mondiale) mostrano ora un numero probabile di morti (al kton) maggiore di 100 volte e una quantità di polveri rilasciate in atmosfera (sempre al kton) moltiplicata anch’essa per 100 [3];


inoltre provocherebbero un aumento di temperatura nella stratosfera euna riduzione dello strato d’ozono del 40%, tale da aumentare il danno al DNA del 213%(neoplasie) e una inibizione della fotosintesi del 132% [5];


ma è sulle conseguenze climatiche che gli effetti sarebbero globali, con un calo delle temperature di oltre un grado che durerebbe per parecchi anni, con danni all’agricoltura paragonabili alle carestie prodotte dall’eruzione nel 1815 del Tambora, grandi variazioni nelle precipitazioni globali e senza peraltro risolvere neppure il problema del riscaldamento globale (vedi figura 2) [6];


Figura 2: andamento delle temperature medie globali nell’ipotesi di un conflitto nucleare regionale con 100 testate di potenza pari a quelle di Hiroshima. Si noti la durata di vari anni del calo delle temperature e il successivo rapido aumento. Da Robock et al. 2007[6].

Non male per un conflitto nucleare tutto sommato contenuto.

Simulazioni su conflitti più estesi danno naturalmente risultati più drammatici[4]:


in molte zone la luce solare si ridurrebbe a tal punto che a mezzogiorno il sole apparirebbe come la luna di notte;


la temperatura media ritornerebbe come all’ultima era glaciale, 18000 anni fa;


la stagione vegetativa nei “granai mondiali” si annullerebbe del tutto;

SEMPLICE BUONSENSO

Questi sono dati che fanno riflettere.

Innanzitutto sui rischi inutili e sconosciuti che l’umanità ha corso in passato. Un “principio di precauzione” anche in ambito militare sembra più urgente che mai. Ma nessuno ne parla. Anzi, la corsa agli armamenti nucleari viene portata spesso ad esempio come il mezzo grazie al quale si è raggiunto un equilibrio che ha sventato la terza guerra mondiale. Come se questo unico “esperimento storico” non fosse in realtà un fortunato accidente del caso, come se non fossero state in azione forze che rendevano questo equilibrio di tipo instabile tra cui la dottrina del first-strike e come se, lo ha dimostrato la Scienza, non fossero in realtà sconosciute le reali conseguenze dell’iniziare un conflitto nucleare.

In secondo luogo il futuro non sembra poi così rassicurante. Se è vero che l’arsenale nucleare mondiale si è ridotto di tre volte rispetto ai massimi del secolo scorso, è anche vero che sono aumentati gli stati che posseggono le atomiche, che raggiungono quota 33. E abbiamo visto che ne bastano poche e di poca potenza per creare una catastrofe climatica.

Per quanto tempo ancora dovremo basare le nostre speranze di sopravvivenza sulla Terra sul fatto che nessuna nazione con ordigni nucleari decida di attaccarne un’altra?

Questa dovrebbe essere la domanda più importante in questa giornata del ricordo.





(PARTE 2)







TEST NUCLEARI E IL DELIRIO TECNOCRATICO DEI SCIENZIATI
Test Nucleari: giocare col plutonio

di Paolo Cortesi

Fatti e cifre … terrificanti

Tra il 1945 ed il 1993, le cinque potenze nucleari dichiarate (USA, URSS, Gran Bretagna, Francia e (Cina) fecero esplodere 2031 testate sperimentali. I test avvennero in cima a torri, su chiatte, sospesi a palloni aerostatici, sganciati da aerei, lanciati da razzi fino alla quota di 480 chilometri sulla superficie terrestre; sott’acqua a 60 metri di profondità; in pozzi e sotto terra, fino a più di 240 metri sotto il suolo e in tunnel orizzontali. Circa il 25% dei test fu realizzato nell’atmosfera. I 511 test atmosferici raggiunsero una potenza totale di 438 megatoni, pari a 29.000 bombe come quelle di Hiroshima. Più di metà del valore complessivo dei megatoni fu concentrato in un periodo di sedici mesi, da settembre 1961 al dicembre 1962.

In totale, gli americani seguirono (1954/1993) 215 test nell’atmosfera e 812 sottoterra; i russi rispettivamente 207 e 508; la Gran Bretagna 21 e 24; la Francia 45 e 147 (tra cui quelli nell’oceano); la Cina 23 e 16. Alla fine del 1958, gli esperimenti nucleari avevano prodotto sul pianeta circa 65 chili di stronzio 90, con una radioattività totale di 8,5 milioni di curie; la radioattività del cesio 137 alla stessa epoca ammontava a 15 milioni di curie. Il fall out degli esperimenti americani e britannici, di grande potenza e, tutti senza eccezione, in località nei pressi dell’equatore si sono distribuiti uniformemente sopra l’intero globo. Tra il 1952 ed il 1957, gli USA eseguirono 90 test nel poligono nucleare del deserto del Nevada. Quelle esplosioni rilasciarono una quantità di iodio 131 superiore di dieci volte a quella che si sprigionò dalla centrale di Cernobyl. Gli stessi test esposero mediamente ogni cittadino statunitense ad una radiazione pari a 2 rad; sono solo 0,24 rad annuali quelli provenienti dalla radioattività naturale. Alcuni medici hanno calcolato che circa 10.000 tumori alla tiroide saranno causati da questa pioggia contaminante invisibile.

Le esplosioni nucleari diffondono nell’aria atomi di plutonio 239 ed uranio 235, due materie che sono la cosa terrena più vicina alla dannazione eterna. Il plutonio è centomila volte più velenoso del cianuro di potassio, un solo grammo disperso nell’ambiente spegne ogni forma di vita in un’area di 500 metri quadri; un milionesimo di grammo uccide un uomo. I periodi di dimezzamento del plutonio 239 e dell’uranio 235 sono rispettivamente di 24.400 anni e 720 milioni di anni: il più breve di questi tempi supera abbondantemente tutta la durata della civiltà umana, dalle sue origini pi` remote ad oggi. La bomba H presenta un nuovo pericolo; produce importanti quantità di carbonio 14. I neutroni liberati al momento dell’esplosione bombardano l’azoto dell’aria, esattamente come le radiazioni cosmiche, formando carbonio 14. Fra 5.600 anni, ci sarà ancora sulla terra la metà del carbonio 14 prodotto dagli attuali esperimenti.

Due premi Nobel a confronto: Müller vs. Teller

In questo desolante panorama di demenza si levano ogni tanto voci, purtroppo isolate, che denunciano chiaramente tutta la micidiale pericolosità di esperimenti i quali in realtà non sono altro che simulacri di quella guerra che le superpotenze non potranno mai combattere senza sterminarsi a vicenda. Hermann Müller, premio Nobel 1946 per la medicina, ha reso noti per esempio senza mezze misure i gravissimi danni genetici causati dalle radiazioni provenienti dalle esplosioni sperimentali. Per questa sua decisa critica, il professor Müller ha dovuto affrontare la censura ed il sabotaggio da parte della Commissione per l’Energia Atomica (AEC), che gli vietò di presentare la sua relazione alla Conferenza di Ginevra per la pace (1955). Questi ostacoli però non gli hanno impedito di far conoscere al pubblico la verità sui test nucleari: “Qualsiasi dose di radiazioni è geneticamente indesiderabile -scriveva Müller in quegli anni – Gli esperimenti atomici in corso provocheranno certamente un danno alle generazioni future. Non solo: ogni radiazione assorbita aumenta le probabilità di un individuo di morire in anticipo sul termine assegnategli dalla Natura. In questo senso si può affermare che le esplosioni sperimentali hanno danneggiato sinora almeno trecentomila persone. La percentuale, se riferita a tutta la popolazione mondiale, è piccola, ma la cifra è enorme. Quanto al danno genetico, non è necessario pensare a mostri con due teste: è certo, però, che nei prossimi duemila anni nasceranno individui più deboli, meno longevi, affetti da deformità più o meno accentuate, da malattie in parte nuove. Riprendere gli esperimenti nucleari è equivalso a sparare a raffica alle generazioni future”.

Queste coraggiose ed oneste dichiarazioni venivano rilasciate nel periodo in cui il Servizio di Sanità Pubblica degli USA garantiva che il fall out era “nei limiti della sicurezza” ed Edward Teller amava ripetere che la ricaduta di pulviscolo radioattivo esponeva allo stesso danno biologico causato da una sigaretta fumata ogni due mesi.

Nel 1963, l’incalzante aumento della radioattività costrinse le potenze nucleari al trattato Limited Test Ban (LTBT) che proibiva le esplosioni sperimentali nell’atmosfera, negli oceani e nello spazio cosmico, limitandole al sottosuolo, per ridurre il danno planetario del fall out di scorie radioattive. Il trattato non serviva affatto a limitare l’uso delle armi nucleari, anzi ne incoraggiava la proliferazione con l’alibi che, sottoterra, le bombe non presentavano rischi per la popolazione. Tutta la faccenda era cos&igarve; gestita dai politici e dai militari-scienziati, i quali potevano eludere le proteste della gente. Il LTBT fece scatenare una serie apocalittica di esplosioni sotterranee sempre più potenti e sempre più numerose. Fino al 1983, i test nucleari seguirono il ritmo forsennato di uno alla settimana. Nel solo 1968, gli USA eseguirono ben 55 esplosioni sotterranee, i russi 18.

Delirio tecnocratico



Degli effetti disastrosi dei test sotto il suolo parlerò più avanti nel corso di questo capitolo. Ora vorrei esaminare il delirio tecnocratico nucleare delle due superpotenze negli anni Cinquanta e Sessanta. Si tratta di storia recente, è solo l’altro ieri, eppure pochissimi sembrano ricordarsene, come se l’immaginario collettivo volesse rimuovere un terrore troppo opprimente. La storia dell’umanità ha conosciuto ombre e orrori agghiaccianti, ma la storia dei test nucleari non ha neppure la cupa grandezza di un titanismo diabolico, ma piuttosto è una lunga parentesi di imbecillità generale, di cretineria feroce, qualcosa di paragonabile alla crudeltà laboriosa di un pazzo assassino.

Gli scienziati giocavano alle divinità, si sentivano onnipotenti e fremevano d’orgoglio contemplando le colossali bolle di fuoco nei cui vortici, a dieci milioni di gradi, si plasmava la materia come nel caos primigenio. A spese dell’intero genere umano, su cui piovevano tonnellate di scorie radioattive, i tecnocrati potevano far scoppiare a dozzine le loro bombe, disponendo di finanziamenti statali enormi. Alla fine del 1955, gli USA investivano 12.000 milioni di dollari nell’industria atomica, che impegnava 130.000 tecnici ed aveva 10 stabilimenti per la produzione di uranio arricchito13. Per tentare di dare una parvenza di umanità a questo abisso di follia, fu diffusa e imposta tramite una propaganda martellante la vergognosa menzogna dell’atomo di pace. Si diceva che l’energia nucleare sarebbe stato un potentissimo alleato dell’uomo, uno strumento benefico di straordinaria efficacia per domare la natura e migliorare la vita. L’uso militare – si diceva – era solo un aspetto dolorosamente necessario, tragicamente inevitabile (ma perché?) di quella che era “una meravigliosa risorsa costituente patrimonio comune dell’umanità”; “una vera e propria rivoluzione scientifica e industriale, non meno profonda di quella che si determinò nell’Ottocento, forse capace di liberare l’uomo dal bisogno”. “Oltre che per la produzione di forza motrice in quantità sufficiente per tutte le esigenze e ad un costo irrisorio, l’utilizzazione dell’energia atomica si dimostra ancora più promettente per fugare lo spettro della fame”.

Ciascuna delle affermazione precedenti racchiuse tra virgolette è falsa. E nessuna delle previsioni citate si è avverata. Questa visione pacifica, persino idilliaca, dell’energia atomica è irreale, lo è sempre stata e gli addetti ai lavori lo hanno sempre saputo, anche se il solo supporto era un’eresia, l’affronto al dogma della bontà sublime della scienza tecnocratica. Troppi interessi legavano fin dagli inizi delle ricerche atomiche gli scienziati al potere, ed il potere, nella storia della tecnologia nucleare, si è sempre espresso militarmente. Di solito, la costruzione della prima bomba atomica è presentata come la conseguenza di un uso perverso della scienza. È ormai popolare la leggenda di una amara rassegnazione degli scienziati del Progetto Manhattan alle tragiche ragioni belliche: per mettere fine alla guerra, fu inevitabile usare la bomba A. Un necessario fine giustificò un terribile mezzo. Tutto ciò è falso: la bomba atomica fu entusiasticamente, caparbiamente voluta dai fisici atomici. Nel bei mezzo della discussione se impiegare o no un ordigno che, in un attimo, avrebbe spazzato via migliaia di persone, quel brav’uomo mite e sorridente di Enrico Fermi sbottò infastidito: “Lasciatemi in pace coi vostri rimorsi di coscienza! È una fisica così bella!”. Questo è il livello di sensibilità morale dello scienziato tecnocrate: non dimenticatelo mai.

(A proposito del delirio dei tecnocrati si consulti la scheda sulla nocività dello stronzio-90 vista dalla Società Chimica Americana e da un tecnocrate)

Test atomici e terremoti



Foto: La prima bomba atomica 1945

II 23 settembre 1969, la Cina fece esplodere una bomba termonucleare sotterranea in un poligono nella parte occidentale del paese. Il 28 settembre, un terremoto colpì lo stato di Vittoria, nell’Australia sud-orientale. Le scosse furono accompagnate da una serie di boati e da apparizioni di luci verdi nel cielo. Il 28 e 30 maggio 1970 vi furono test nucleari, ed il 31 maggio la città di Chimbote, in Per`, fu devastata da un terremoto che uccise 60.000 persone. Il 27 luglio 1976, gli USA fecero esplodere una carica da 20-150 chilotoni nel sottosuolo del Nevada. Il giorno seguente, la città di Tang-shan (Cina) e 800.000 persone furono distrutte da un sisma che fu valutato di magnitudine 8,2 nella scala Richter.

Il 13 e 15 settembre avvennero test nucleari sotterranei, il 16 settembre un terremoto (7,7 Richter) rase al suolo la città iraniana di Tabas, con 25.000 morti. Il 5 novembre 1988 la Francia realizzò nelle acque dell’atollo di Mururoa un’esplosione nucleare di 50 chilotoni. Il giorno successivo, un violento terremoto (7,6 Richter) sconvolse la provincia cinese dello Yunnan, facendo circa 600 vittime. Il 24 novembre dello stesso anno, la Francia eseguì un’identica esplosione. Un terremoto (6 Richter) colpì il Canada e gli Stati Uniti del Nord-Est il giorno seguente; mentre il 26 novembre ancora una volta una provincia cinese, Qin-ghai, fu scossa da un sisma. E ancora: il 4 dicembre 1988, l’URSS fece detonare una bomba nucleare di potenza stimata fra i 20 ed i 150 chilotoni in una base del circolo polare artico. Il 7 dicembre, l’Armenia fu squassata da un terremoto (6,9 Richter) che uccise 60.000 persone e lasciò mezzo milione di senzatetto. Il 22 gennaio 1989, una esplosione sperimentale (20-150 chilotoni) fu effettuata nel Kazakistan nordorientale; il giorno successivo il terremoto nel Tajikistan sovietico fece più di 200 morti. Il 23 giugno 1992, gli americani fecero scoppiare l’ennesima bomba nucleare sotterranea; il 28 giugno, due terremoti di insolita violenza (7,4 e 6,5 Richter) colpirono il sud della California.

Curiose coincidenze? Per molti sismologi la risposta è sicuramente sì. Riley Geary, del Caltech, dichiara che i dati non rivelano un legame tra esplosioni e sismi17, e per Robert-Carmichael, geologo della lowa University, l’ipotesi di un nesso causale tra bombe sotterranee e terremoti, è “una frode scientifica, paragonabile alla magia o all’ astrologia”.

Eppure altri dati, del tutto scientifici, indicano che questo legame è molto più che una fantasia o una superstizione. Il professor Gary T. Whiteford, docente di geografia all’Università di Brunswick in Canada, ha scoperto che i terremoti con magnitudine da 6 a 6,5 Richter sono più che raddoppiati da quando hanno avuto inizio i test nucleari sotterranei. Infatti, tali sismi furono 1.164 fra il 1900 ed il 1949; sono saliti a 2.844 tra il 1950 ed il 1988. Un significativo aumento è registrato anche per i sommovimenti tellurici di magnitudine compresa tra 6,5 e 7 Richter: furono 1.110 nel periodo 1900-1949; se ne contarono 1.465 tra il 1950 ed il 1988. Tali incrementi si sono verificati in tutte le zone particolarmente sismiche del globo. Ad esempio: la percentuale di tutti i terremoti (superiori o pari a 5,8 Richter) nelle Isole Aleutine era di 3,31 nel tempo precedente gli esperimenti nucleari americani nel Nevada. Tale percentuale salì fino al valore di 12,57 nel periodo dei test. Le isole Salomone e Nuova Bretagna (Oceano Pacifico) erano sismicamente tranquille nella prima metà del nostro secolo: la percentuale dei terremoti era di 2,98. Nell’epoca delle bombe nucleari francesi a Mururoa questo valore è quasi quintuplicato: 10,08. Anche l’isola di Vanuatu ha pagato un pesante tributo alla grandeur nucleare francese. La sua percentuale di terremoti era di 3,36 nell’arco di tempo 1900-1949; nel periodo seguente contrassegnato dai test, tale cifra è balzata a 9,30. Nell’isola Novaya Zemlya non avvennero mai violenti terremoti nel primo cinquantennio del secolo; da quando vi fu costruita una base per esperimenti nucleari sovietici, si sono avute sei scosse telluriche di grandezza pari o superiore a 5,8 Richter.

In una visione globale si può rilevare che, nei primi cinquanta anni di questo secolo, sono stati registrati 3,419 terremoti di magnitudine uguale o superiore a 6 Richter, con una media di 68 all’anno. Dal 1950 al 1989, i terremoti in questione sono stati 4.963, con una media di 127 all’anno: il valore è quasi raddoppiato.

Il professor Whiteford ha compiuto inquietanti scoperte a proposito dei cosiddetti “terremoti assassini” (killer quakes), cioè sismi che provocano almeno 1.000 vittime. “Nel corso di 37 anni di sperimentazione nucleare, venti dei trentadue terremoti assassini, ovvero il 62,5%, avvennero lo stesso giorno o entro quattro giorni dal test”. Dati allarmanti provengono anche da uno studio di due scienziati giapponesi, Shigeyoshi Matsumae e Yoshio Kato, della Tokai University di Tokio: “Fenomeni anomali meteorologici, terremoti e la variazione dell’asse terrestre sono notevolmente correlati ai test atmosferici e sotterranei. Essi hanno causato un aumento della temperatura dell’esosfera terrestre da 100 a 150 gradi, che cresce in modo abnorme immediatamente dopo un test nucleare. Ad esempio, è stato scoperto che la temperatura assoluta salì da 70 ad 80 gradi dopo un test sovietico che fu rilevato dalla stazione d’osservazione da Uppsala, il 23 agosto 1975. Similmente, un continuo e drastico rialzo della temperatura fu osservato in occasione di una fitta serie di sei esplosioni sperimentali avvenute tra il 18 ed il 29 ottobre 1975”. E concludono: “La temperatura dell’atmosfera è cambiata dai test nucleari, un cambiamento che neppure il sole potrebbe produrre. Si può facilmente immaginare quali effetti abbia tutto ciò sulle condizioni meteorologiche della terra”.

Ovviamente, il potere negò sempre che le esplosioni atmosferiche potessero avere simili conseguenze:
“Due scienziati dell’Ufficio Meteorologico di Washington hanno portato a termine una loro inchiesta sugli effetti delle esplosioni delle bombe A sull’evoluzione del tempo. Essi escludono che le particelle radioattive liberate dall’esplosione possano comportarsi, nella libera atmosfera, come nuclei di condensazione, e quindi non si può avere un aumento della piovosità. Essi non ammettono minimamente che i residui delle esplosioni proiettati nell’alta atmosfera possano portare ad una diminuzione d’intensità nella radiazione solare e tanto meno che gli scoppi possano influenzare dinamicamente l’oceano d’aria”.

È fin troppo facile supporre che il potere negherebbe ogni credibilità ad altre gravissime conclusioni cui giunge lo studio di Matsumae e Kato. Tipo: “Le esplosioni nucleari spostano l’asse di rotazione terrestre”. I due ricercatori nipponici notano infatti che test nucleari di almeno 150 chilotoni fanno slittare sensibilmente la posizione dell’asse polare. Questo spostamento provoca una variazione nella durata della rotazione del nostro pianeta, che è nell’ordine del centesimo di secondo, ma rivela come l’intervento umano possa interferire con realtà vecchie di milioni di anni e di dimensione planetaria.

Le osservazioni scientifiche di ricercatori indipendenti dimostrano chiaramente che le esplosioni nucleari sperimentali hanno causato danni rilevanti all’equilibrio della struttura stessa del nostro pianeta. Diversi scienziati, tuttavia, lo escludono, soprattutto per il motivo che le energie sviluppate dagli scoppi termonucleari sarebbero troppo esigue e troppo brevi.

Eppure i fatti sono ben evidenti. Come si può negare un legame causale quando, anche all’analisi statistica, esso è più che verosimile? Come interpretare questa miopia scientifica?
Prima di tutto, occorre non tenere in alcun conto le opinioni di chi ha interesse a negare i pericoli nucleari. Non si può prestare nessuna fiducia, ad esempio, a quei due scienziati dell’Ufficio Meteorologico di Washington citati poc’anzi, perché essi lavoravano per lo stesso governo che voleva a tutti i costi i test nucleari. Essi non esponevano un parere motivato da ricerche scientifiche libere, ma servivano a tranquillizzare l’opinione pubblica.

L’ubriacatura atomica, lo stronzio 90 e la biotecnologia

Solo oggi, a distanza di quasi mezzo secolo, possiamo accedere ad una quantità di documenti prima top-secret che mostravano tutta la allucinante pericolosità dei cosiddetti esperimenti. Ma come spiegare le teorie rassicuranti di scienziati non governativi? Credo che in questi casi si debba tener presente la formazione accademica di questi studiosi. La loro cultura è sempre stata tecnocratica. Essi sono stati educati nella fede ad alcuni assiomi tecnocratici: la scienza e la tecnologia sono benefiche, la ricerca scientifica giustifica e deve ammettere ogni esperimento, la santa causa del progresso assolve ogni peccato e merita ogni sacrificio. Per questi “tecnocrati in buona fede”, gli allarmi degli scienziati ambientalisti sono una snobistica forma di oscurantismo, che esagera, demonizza, fraintende, enfatizza, sparge sfiducia e discredito.

Gli scienziati tecnocrati non hanno categorie mentali capaci di considerare, ad esempio, la sottomissione alla grandezza del pianeta di cui sono ospiti. Per costoro, le astrazioni teoriche del calcolo sono altrettanti lasciapassare per le avventure più rischiose, per le decisioni più arbitrarie:
accadde cinquant’anni fa con l’ubriacatura atomica; sta accadendo oggi con il nuovo gingillo tecnocratico, la biotecnologia.

Gli scienziati di Los Alamos che giocavano con le bombe atomiche negli anni Quaranta avevano ideato una simpatica espressione per definire il loro lavoro: stuzzicare la coda del dragone. Essi erano consapevoli del mostruoso potere distruttivo che manipolavano, eppure tutto questo non li atterriva; anzi ci scherzavano sopra, sicuri che la loro scienza avrebbe tenuto a bada ogni dragone. I risultati di questa superbia idiota sono gli orrori nucleari con cui tutti devono convivere da decenni e per chissà quanto tempo ancora.

I tecnocrati non sanno vedere al di là delle loro teorie; non possono capire nulla che non sia compreso nei loro libri; non sono in grado di prevedere niente che non sia previsto nei simboli delle loro formule. Ciò che essi ancora non sanno, deve inevitabilmente adattarsi agli schemi delle loro conoscenze, anche quando si imbattono in realtà e fenomeni mai esistiti prima in natura. Come possono escludere certe conseguenze di certi esperimenti, se in tutta la storia della terra non è mai successo quello che essi vogliono fare? Come potevano garantire che lo stronzio 90, distribuito su tutto il pianeta dalle esplosioni nucleari, “non poteva destare preoccupazioni”, se lo stronzio 90 non esisteva sulla terra prima dei test. Se io mi portassi a casa un animale sconosciuto, e aspettassi immobile di vedere se è mansueto o feroce, sarei saggio o imbecille? Se mangiassi un fungo sconosciuto e aspettassi tranquillo di morire avvelenato o sopravvivere, sarei saggio o cretino? Questo è stato, per decenni, il modulo di pensiero degli scienziati tecnocrati. E c’è il serio timore che si continui così; anche per la biotecnologia. Fermiamoli, finché siamo in tempo.

FONTE http://www.minerva.unito.it/Chimica&Industria/MonitoraggioAmbientale/A2/TestNucleari3.htm


DOCUMENTARIO

Il film mostra i vari test nucleari più famosi, partendo da “the gadet”(il primo) fino alla “bomba tsar” (non l’ultimo, ma il più potente ordigno mai fatto esplodere dall’uomo). Bombe e scienziati, con unEdward Teller molto orgoglioso del suo operato.





Note e riferimenti
[1] DTRIAC, Castel Bravo: fifty years di legend and lore, Jan 2013, pag 27
[2] Samuel Glasstone, The Effects of Nuclear Weapons,  1956, pag 69
[3]  O. B. Toon et al., Atmospheric effects and societal consequences of regional scale nuclear conflicts and acts of individual nuclear terrorism, 2007
[4] Robock et al., Nuclear winter revisited with a modern climate model and current nuclear arsenals: Still catastrophic consequences, 2007
[5] Mills et al, Massive global ozone loss predicted following regional nuclear conflict, 2008
[6] Robock et al.,Climatic consequences of regional nuclear conflicts, 2007




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