All’indomani delle decisioni di Boris Johnson di non concorrere alla successione diDavid Cameron come Premier e di Nigel Farage di non voler più essere il leader diUKIP, si sono sentite sui media europei ed italiani le più variopinte accuse di “abbandono” e “tradimento” dopo aver trascinato la Gran Bretagna nel “disastro” con l’uscita dalla Unione Europea. I commentatori si sono sbizzarriti nelle analisi più becere, probabilmente per scaricare le loro frustrazioni, incompetenze e sudditanze politiche nel non aver previsto la vittoria del Leave, verso gli artefici della vittoria nel referendum consultivo inglese, ignorando invece le vere motivazione per le quali i due politici inglesi hanno saggiamente fatto le loro scelte.
Premesso che la “campagna referendaria” ha assunto, specialmente nelle ultime settimane, toni molto aspri da ambo le controparti, con dichiarazioni e affermazioni forti anche di personaggi politici europei e delle stesse istituzioni, era più che prevedibile che a risultato incassato gli artefici del “Leave” passassero la mano per cederla ad altri del proprio schieramento politico meno “compromessi” e rimasti saggiamente dietro le quinte della prima fila nella “battaglia” referendaria. Con questa mossa strategica sono riusciti a “sdoganare” la loro vittoria spersonalizzandola per affidarla a persone che possono ora gestirla materialmente e nel modo più proficuo per gli interessi del paese.
Hanno dimostrato di non voler cavalcare la vittoria per tornaconti personali (per noi italiani concetto di difficile comprensione) ma nell’interesse del proprio paese (sempre concetto di difficile comprensione per noi italiani).
Questa più che ovvia analisi scaturisce dalla consapevolezza che proprio adesso si apre la delicata e complessa “negoziazione” del divorzio della Gran Bretagna dalla UE ed è quanto mai necessario che la partita sia condotta da persone che non impersonificano il simbolo dell’uscita. Sarebbe quanto mai controproducente per gli interessi stessi degli inglesi che un Boris Johnson, nelle vesti di Primo Ministro di Sua Maestà Britannica, e di un Nigel Farage come leader del partito di indipendenza nazionale, sedessero ai tavoli europei per negoziare le procedure di “sganciamento” dall’Unione. Certo, molti preferirebbero vederli in battibecchi divertenti a cui siamo da tempo abituati con i vari Juncker, Schulz e Schaeuble di turno, ma la diplomazia si muove in genere in ben altro modo ed utilizzando tecniche meno appariscenti.
La UE ha disperatamente ora bisogno più che mai di trovare un accordo di “buona vicinanza” con gli inglesi che consenta ai paesi membri di non perdere un “cliente” così importante come la Gran Bretagna, importatrice netta di beni e servizi ogni anno per circa 110 Mld di euro dall’Europa stessa, di cui la maggior parte proprio dallaGermania.
Continuare con lo sterile “Out is Out”, tuonato dal sempre “simpatico” e “accomodante” ministro delle finanze tedesco Schaeuble a poche ore dallo svolgimento del quesito referendario o con rappresaglie punitive, sarebbe un vero e proprio “suicidio”, un po’ come il darsi la zappa sui piedi e pertanto, aldilà delle procedure previste dall’art.50 del TFUE (Trattato di Lisbona) che codifica il recesso di un paese membro della UE, è certo che si arriverà presto ad un accordo in cui alla “perfida Albione” sarà riconosciuto lo status di “paese associato” con cui continuare tranquillamente ad interfacciarsi e questo per la buona pace di tutti.
Proprio per questo gli occhi sono caduti sull’attuale ministro degli interni Theresa Maycome favorita alle primarie del Partito Conservatore che gli spianerà la strada per Downing Street. La May ha tutte le carte in regola per poter avviare e condurre lecomplesse trattative di uscita nel migliore dei modi proprio perché non ha avuto un ruolo attivo nel referendum e potrà quindi gestirle senza “emotività” che comprometterebbero gli esiti degli accordi.
D’altronde gli inglesi hanno mille difetti ad iniziare dall’ostinarsi nel servire la birra calda nei Pub, ma in quanto a diplomazia, fare gli interessi del proprio Paese e a difendere i principi della democrazia sono sempre i numeri uno, anche se questa volta sono stati a ricordarla al mondo gli anziani, i contadini delle campagne, i cittadini della provincia e i “meno” istruiti e non i rampanti giovani della City e i “volponi” della finanza.
Piuttosto, proprio per “stemprare” gli animi intorno a quel rovente tavolino, perché anche i vari Juncker, Schulz e magari Schaeuble, non hanno a fatto anche loro un bel passo indietro passando la mano?
Antonio M. Rinaldi
http://scenarieconomici.it/
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