venerdì 7 ottobre 2016

SEPOLTURA CELESTE: QUANDO LA MORTE SI TRASFORMA IN UN BANCHETTO RITUALE

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Cambiano le culture, cambiano i punti di vista. Se un Occidentale avesse la s/fortuna di presenziare allasepoltura celeste, pratica nota comejhator in lingua tibetana, certamente ne rimarrebbe turbato, scosso, probabilmente indispettito. Ma questo antico rito funerario tibetano, per i locali, è tutt’altro che una forma irrispettosa di dare commiato ai defunti. Il significato letterale di jhator è “fare l’elemosina agli uccelli” e difatti i fortunati destinatari del banchetto umano sono gli avvoltoi. I Cinesi non gradivano il rito celeste, pur compiendo in terra tibetana misfatti ben più gravi, tanto da averlo bandito dal Tibet nel periodo compreso tra gli anni 60′ e 70′, salvo poi legalizzarlo nuovamente a partire dagli anni 80′.


Cos’è la sepoltura celeste e come funziona?


Lhasa, Leichenzerschneidung

“Shey, Shey”, cibatevi, cibatevi, sono le parole pronunciate, a dire di Wikipedia, dal tomdem, il lama che celebra la funzione dando indicazioni ai rogyapa, distruttori di corpi, su come scuoiare il cadavere. Invitante fumo di ginepro e aroma di carne umana fresca attraggono in loco gli avvoltoi, noti per il loro vorace appetito. Con un martello di pietra i rogyapa frantumano ossa e cervello mescolandoli con farina d’orzo. Un quadretto piuttosto inquietante agli occhi di noi occidentali che della morte abbiamo fatto un tabù. Eppure c’è ben poco di profano e irrispettoso nella sepoltura celeste, che guarda alla morte con naturalezza, senza troppe farciture. Come mai, sorge spontanea la domanda, in Occidente ci diamo tanto da fare per conservare o preservare la salma dal disfacimento, visto che, fatta eccezione per l’ambito religioso, consideriamo il corpo come involucro senza anima?

I buddisti tibetani non la pensano tanto diversamente dal momento che il corpo è visto come contenitore dello spirito attraverso il quale possiamo vivere nell’aldiquà. Tuttavia, pur portandogli rispetto, sembrano più consapevoli che prima o poi, naturalmente, esso ci abbandoni ed è bene lasciarlo andare perché siamo solo di passaggio. Assistere al rito è un altro modo, secondo i tibetani, per comprendere quanto la vita sia transitoria. Curioso è il fatto che i lama durante il rituale pratichino il Phowa, trasferimento della coscienza, per permettere allo spirito di abbandonare il corpo, che a quel punto può benissimo essere offerto in dono agli animali.





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Il rituale inizia dopo alcuni giorni dedicati a canti e preghiere. Il corpo viene portato in un luogo sacro sul fianco di una montagna rivolta a Oriente. Il lama, come premesso, suggerisce ai distruttori di corpi come tagliare la salma seguendo un ordine rituale. Alcuni pezzi di carne vengono lanciati per attirare gli avvoltoi ma se questi non rispondono, si avviano danze propiziatorie allo scopo di avvicinarli. La carne viene ulteriormente divisa, a volte mischiata con farina, mentre le ossa frantumate e mischiate alla polpa. L’intero corpo viene offerto agli avvoltoi e gli eventuali rimasugli diventano cibo per uccelli di taglia inferiore. Secondo le testimonianze dei temerari viaggiatori che hanno assistito al rituale, i Rogyapas eseguono il loro compito serenamente poiché è proprio questo lo spirito giusto per affrontare la morte. E in effetti gli stessi parenti del defunto, che nella gran parte dei casi sono gli unici a poter assistere alla cerimonia, una volta concluso il rituale rientrano al villaggio in un clima di silenzio e serenità.

Perché un corpo umano che da involucro diventa cibo, offrendosi generosamente a Madre Natura, suscita scalpore? Non è forse questo un modo nobile per disfarsi del corpo? Un modo per continuare il ciclo della vita? Tra l’altro, secondo la tradizione tibetana, il defunto che opta per questa soluzione ripaga i suoi debiti karmici, in quanto gli avvoltoi sono una manifestazione delle dakini, una sorta di angeli tibetani. E pensare che in Occidente questi uccelli, pur nutrendosi di carcasse morte, a differenza di altri predatori vengono guardati (proprio per questo) con disprezzo.



Al di là di ciò, si ritiene che la sepoltura celeste sia nata probabilmente anche per esigenze pratiche oltre che spirituali. Primo perché il terreno del Tibet risulta roccioso e spesso ghiacciato, ragion per la quale è difficile scavare fosse come alle nostre latitudini. D’altra parte la scarsità di legname rende ostica la cremazione. Niente di meglio, come alternativa, di un banchetto ecologico. Sono dell’idea che sia importante conoscere tradizioni diverse per ampliare gli orizzonti e capire che il giusto e lo sbagliato, il bello e il brutto, il sacro e il profano, sono punti di vista, tutt’altro che verità assolute. Un rituale simile, che a prima occhiata risulta macabro e poco dignitoso, è tutt’altro che un “funerale” irrispettoso ma per comprenderlo non ci si può fermare alla superficie, bisogna avere il coraggio di andare in profondità.

Laura De Rosa

yinyangtherapy.it

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