mercoledì 20 febbraio 2013

IL CAMBIAMENTO CLIMATICO
















Gli eventi meteorologici estremi indubbiamente hanno sempre colpito l'umanità e fanno parte del nostro patrimonio di rapporto con la natura. Luca Mercalli ci spiega come sono cambiati i fenomeni climatici e la reazione dell'uomo ad essi; cosa bisogna fare per muoversi verso una prospettiva sostenibile per il pianeta e come i comportamenti individuali di ognuno di noi influiscano quanto le grandi decisioni della politica internazionale.

Nelle ultime settimane, alluvioni e nubifragi hanno colpito duramente l'Italia. Abbiamo intervistato Luca Mercalli, climatologo e autore di "Prepariamoci", (Chiarelettere) saggio ormai giunto alla sua decima ristampa.

Ancora alluvioni in Italia, e non solo. Cosa sta succedendo?


Gli eventi meteorologici estremi indubbiamente hanno sempre colpito l'umanità e fanno parte del nostro patrimonio di rapporto con la natura. Negli ultimi decenni sono accaduti però due fatti. Il primo: è aumentata la vulnerabilità della nostra società, una società che è cresciuta in termini di numero (demograficamente), ed è cresciuta in termini di infrastrutture.
Lo stesso evento meteorologico estremo che 100 anni fa colpiva un'area sostanzialmente poco abitata, urbanizzata, prevalentemente agricola, senza infrastrutture di trasporto, linee elettriche o telefoniche, antenne di trasmissione dati o gasdotti, oleodotti, chiaramente aveva meno cose da distruggere. Oggi un evento meteorologico di pari intensità rispetto a quello di 100 anni fa ha semplicemente più oggetti da distruggere. Più capitale investito che è soggetto a essere deteriorato da un evento meteorologico importante.

L'altro elemento che sta cambiando è invece la maggiore frequenza e la maggiore intensità degli stessi fenomeni a causa del riscaldamento globale.
Qui i dati sono molto più difficili da interpretare. Non c'è ancora una statistica robusta, su cui appoggiarsi. Mentre l'aumento di temperatura è un fatto sperimentabile e misurabile su tutto il pianeta, gli eventi estremi sono distribuiti in modo molto difforme, per cui ci sono zone che li stanno sperimentando probabilmente in modo più acuto e altre dove invece non si notano ancora questi segnali.
In ogni caso, entrambi questi elementi ci metteranno di fronte, in futuro, a un rischio molto maggiore. Il rischio può essere sia in termini di vite umane che vengono colpite direttamente da un episodio meteorologico, sia i danni economici e sia infine gli spostamenti, le vere e proprie migrazioni di popoli allorché queste catastrofi climatiche vadano a toccare delle zone densamente popolate e con scarse possibilità di resilienza, di ripresa, che vadano per esempio anche a incidere sulla produzione alimentare e quindi creando delle vere e proprie crisi di carestia in alcune zone del mondo, che poi spingano intere popolazioni a migrare.
Ecco, questi tre elementi sono così importanti che l'IPCC - il comitato intergovernativo sui cambiamenti climatici - pochi mesi fa ha pubblicato un rapporto specifico sugli eventi estremi di tipo meteorologico, mettendo in guardia un po' tutti i paesi del mondo a questi nuovi scenari futuri.

Come si possono combattere i fenomeni meteorologici estremi?
Abbiamo soltanto due strategie. La prima è quella di contenere il più possibile la magnitudo del cambiamento: lo si può fare soltanto con la riduzione delle emissioni, lo si può fare con una economia che corra meno, che bruci meno, che inquini meno. Non è possibile ridurre però al 100% il cambiamento climatico, perché ormai ci sono 200 anni di sviluppo industriale e di emissioni che daranno i loro effetti in futuro.
Possiamo quindi solo scegliere di mitigarlo.
Negli ultimi scenari climatici sappiamo che il range, il ventaglio di cambiamento termico sul pianeta da qui a fine secolo è compreso tra circa 3 e 6 gradi. È evidente che questo margine sta nelle nostre scelte: meglio un mondo che si scalda solo di 3 gradi piuttosto che di 6, perché con 6 gradi tutto l'adattamento diventerà più difficile e ecco quindi il secondo punto, l'adattamento.
Anche se fossimo così bravi da ridurre il cambiamento a soli 3 gradi invece che 6, comunque questi 3 gradi non saranno indenni, non sarà qualche cosa che passerà senza colpo ferire! Ci porterà comunque a un mondo diverso da quello che conosciamo oggi, con fenomeni comunque estremi che si verificheranno e contro cui dovremo attrezzarci e qui arriviamo alla politica della resilienza.
La resilienza è quella proprietà di un sistema a non collassare quando viene sottoposto a un forte stress. La resilienza è qualche cosa che si crea lentamente, con grandi investimenti, con educazione e quindi a mio parere, oggi, il grande obiettivo dei governi di tutto il mondo dovrebbe essere proprio quello: da un lato di ridurre l'entità del cambiamento climatico e dall'altro progettare la resilienza della specie umana.

La conoscenza dei guasti climatici e dei rischi a cui andiamo incontro ormai è sufficiente per muoverci all'azione. I grandi meeting internazionali per prendere dei provvedimenti di tipo economico, che portino a una riduzione delle emissioni clima alteranti, si fanno ormai da una ventina di anni, purtroppo con risultati molto modesti.
L'unico accordo vincolante di questo genere è stato il protocollo di Kyoto, che scade a fine 2012, ma è proprio stato un tentativo molto modesto di dare dei risultati.
La crisi economica ha fatto molto di più dei protocolli nella riduzione delle emissioni. Io penso che o ci si rende conto, tutti insieme - nella globalità dei paesi, dei circa 200 stati sovrani che compongono il pianeta - che siamo seduti su una bomba a orologeria e possiamo scegliere tutti insieme di disinnescarla o almeno di diminuirne il potenziale, o continueremo a fare parole e sposteremo sempre di anno in anno il momento delle azioni radicali, di cui avremmo bisogno e quindi peggiorando sempre di più la situazione.
Mentre da un lato aspettiamo che la grande politica assuma degli impegni non dobbiamo scordare che il ruolo dell'informazione e delle scelte dei singoli è forse pari a quello della grande politica. Non possiamo sempre e solo delegare le scelte ad altri, aspettando che vengano decise in un certo altrove. Ciò che riguarda l'uso delle risorse del pianeta e il relativo inquinamento è frutto prevalentemente di scelte individuali: ognuno di noi, ogni giorno, con le proprie azioni, contribuisce in misura maggiore o minore al futuro del pianeta e delle future generazioni.
E quindi direi che i due percorsi devono essere paralleli. Da un lato abbiamo bisogno di una grande politica, perché non siamo in grado individualmente di fare tutto, ma dall'altro abbiamo anche in mano la possibilità di iniziare a reagire e dare un segnale importante, a iniziare dai nostri acquisti, dal nostro comportamento, da come usiamo l'energia, da come ci muoviamo, come viaggiamo, che tipo di casa abbiamo, quali sono le nostre scelte concrete nella vita di tutti i giorni. E purtroppo l'informazione è un punto debole, nell'attuale situazione, nonostante un mondo che non ha mai avuto così grande facilità di diffondere l'informazione in tempi rapidi e anche con grandi approfondimenti e con una totale interconnessione tra le discipline e direi anche con la rapidità di avere le informazioni di tutto il mondo sottomano, attraverso la Rete.
E' anche un mondo, forse, che è distratto da troppe cose e non riesce a scegliere, tra tante informazioni, quella veramente strategica per il proprio futuro.
 

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