Vi abbiamo già parlato di
alcuni uomini della sinistra italiana controllata dal Vaticano,
precisamente in questi post:
-La
Sinistra dei Gesuiti e del Vaticano: Vendola, Bertinotti, Fassino e
Rutelli
-Gli appoggi di Monti, il Leccaculo di Comunione e Liberazione Pier Luigi Bersani e il Modello di Stato Sociale della Caritas
Vi abbiamo anche parlato, in questo
post, dei fantocci "rivoluzionari" Grillo, Travaglio e
Saviano, tutti ospiti allegri dei Gesuiti; di Grillo abbiamo anche
analizzato [qui
e qui]
il suo modo particolare di leccare il culo al Vaticano.
Oggi vi parleremo invece del Nobil Uomo
"comunista" Massimo
d'Alema e del Cavaliere Giorgio
Napolitano, entrambi titolari di onorificenze dell'Ordine Piano della Santa Sede, a
dimostrazione della servitù continua degli uomini della ex
sinistra, e delle nostre istituzioni, nei confronti dell'azienda più ricca del mondo, la Vaticano
& Gesuiti S.p.a.
Una piccola introduzione sull'Ordine
Piano:
“L'Ordine Piano
(indicato anche con il nome di Ordine di
Pio IX) è attualmente il primo Ordine
cavalleresco regolarmente conferito della Santa
Sede apostolica: segue per dignità gli ordini Supremo
del Cristo e della Milizia
Aurata che vengono considerati quiescenti dall'Annuario
Pontificio[1].”
[…]
“Dopo
l'Ordine
Supremo del Cristo e dello Speron
d'Oro, oggi l'Ordine Piano è il più prestigioso ordine equestre
pontificio regolarmente conferito anche ai laici.
Vanta la precedenza
nelle cerimonie sull'Ordine
di San Gregorio Magno e sull'Ordine
di San Silvestro Papa, nonché sull'Ordine
Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme e sull'Ordine
di Malta; negli alti ruoli è di conferimento protocollare, viene
riconosciuto ai Capi di Stato in visita presso la Santa
Sede, ai capi di Governo,
ai Ministri ed al Corpo
Diplomatico dopo un periodo di permanenza a Roma.
Il titolo di Cavaliere
è concesso con parsimonia, i conferimenti vanno a fedeli cattolici
di distinta condizione, quasi sempre appartenenti ad antiche Casate
nobiliari europee, in seguito a servigi di alto profilo resi alla
Santa Sede
Apostolica o direttamente alla persona del Pontefice.
Viene concesso dopo
segnalazione del vescovo
diocesano o, assai più frequentemente, per motu
proprio del Pontefice. Ovviamente non è possibile candidarsi,
essendo la segnalazione e la pratica un atto interno vaticano.
L'autosegnalazione è anzi causa di esclusione per ogni onorificenza
pontificia.
Tutti i conferimenti,
trattandosi di onorificenza statuale di prima classe secondo i
manuali diplomatici internazionali, sono redatti sotto la forma
solenne del breve pontificio, su pergamena, con il sigillo della Sede
Apostolica, le chiavi decussate ed il triregno, e la firma del
cardinale
Segretario
di Stato.
Privilegi
Come per gli altri
Ordini Equestri Pontifici, l'uso dell'uniforme offre al Cavaliere il
privilegio di scortare il vescovo
all'ingresso ed all'uscita della Cattedrale,
a sedersi alla destra dell'altare, ponendo la sciabola a terra e
mantenendo la feluca in capo parimenti alla mitria del vescovo.
Anche durante le celebrazioni il cavaliere dell'Ordine Piano, dopo
l'Ordine
Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, ha la precedenza
sugli altri insigniti di cavalierati pontifici di San Gregorio e di
San Silvestro, nonché sui cavalieri dell'Ordine
di Malta. Dà inoltre diritto al titolo di N.H. (nobiluomo), alla
precedenza e passo su tutti gli altri laici nei Palazzi apostolici e
negli edifici religiosi ed agli onori militari da parte della Guardia
Svizzera e della Gendarmeria
Vaticana.
L'insignito può
sospendere l'insegna dell'Ordine alle proprie armi di famiglia.
Qualora non fosse di nascita nobile
o non possedesse un blasone, l'assegnazione del cavalierato
dell'Ordine Piano conferisce all'insignito di crearsi uno stemma
araldico.
In forza dei trattati
bilaterali del 1929
rinnovati nel 1984, è
onorificenza riconosciuta anche dalla Repubblica Italiana con tutti i
suoi privilegi e trattamenti protocollari e diplomatici."
“Al
presidente [Napolitano] , in mattinata, era stata recapitata
l'onorificenza dell'«Ordine Piano», concessa ai capi di Stato, che
Napolitano indossava durante la visita. Dopo aver incontrato il Papa,
il presidente ha salutato il corpo diplomatico accreditato in
Vaticano, che gli è stato presentato dal cardinale Segretario di
Stato Tarcisio Bertone, il quale nel suo discorso ha ricordato come
anche i non cristiani guardino al Papa come «al portavoce delle
supreme istanze morali».“
“Ex
comunisti in frac. Come passa il tempo: anche questa si doveva
vedere. Lo prevede il cerimoniale della Santa Sede, non c'è dubbio;
né era pensabile che Giorgio Napolitano e Massimo D' Alema potessero
varcare il Portone di bronzo con un abituccio qualsiasi.
Del resto così è sempre stato, fin dai tempi in cui
inginocchiandosi davanti a Pio XII, Giovanni Gronchi lasciò che le
code di rondine della sua giacca di droppè sei bottoni con revers in
seta accarezzassero il tappeto pontificio. […] Per
la verità, sulla camicia di battista in lino bianco con sparato
inamidato e collo duro, ieri mattina il presidente Napolitano
sfoggiava anche la catenona di Cavaliere di Collare dell'Ordine
Piano, oltre a una preziosa placca pettorale.
Spiegano i cerimonialisti che il frac è tra i pochissimi abiti di
gala su cui è consentito, anzi è auspicabile appuntare onorificenze
di grande formato. Fatto sta che in «white tie» l' attuale Capo
dello Stato, di cui è noto il portamento britannico, se l' è cavata
egregiamente. Idem il ministro degli
Esteri: senza collare tipo sommelier, ma con vistosa fascia
policroma. E di nuovo: come si
consumano rapidamente le stagioni del potere; e quali bizzarre
coincidenze può innescare un abito.[...]Ecco, ieri la visione
impossibile e perfino straniante è divenuta realtà, per giunta
rinforzata dalla marsina che simultaneamente indossava l' ex
comunista Napolitano. Inutile, a questo punto, far finta di niente.
Nell' immaginario del movimento operaio, quell' abito è stato a
lungo considerato il costume di scena e l' uniforme di battaglia dei
padroni, così come li raffiguravano George Grosz e Giuseppe
Scalarini. Padroni di solito feroci e avidi, grassi e ingordi, in
ogni caso spaventosi nella loro grottesca eleganza....”
Il Cavaliere Vaticano Giorgo Napolitano è un
noto fan di Comunione e Liberazione; ad agosto del 2011 aveva aperto
la trentaduesima edizione Meeting
per l’Amicizia fra i Popoli:
“Il
capo dello Stato Giorgio Napolitano ha aperto oggi la trentaduesima
edizione del Meeting per l’Amicizia fra i Popoli, organizzato da
Comunione e liberazione. Il presidente della repubblica ha visitato
la mostra “150 di sussidiarietà” e ha poi partecipato
all’incontro organizzato in collaborazione con l’Intergruppo
Parlamentare per la Sussidiarietà, guidato dal ciellino Maurizio
Lupi.
Tre giorni fa Il Fatto Quotidiano aveva preso spunto dall’evento per pubblicare l’articolo Come Comunione e liberazione è entrata (e comanda) nelle Coop rosse, scritto da Enrico Bandini.
Tre giorni fa Il Fatto Quotidiano aveva preso spunto dall’evento per pubblicare l’articolo Come Comunione e liberazione è entrata (e comanda) nelle Coop rosse, scritto da Enrico Bandini.
Raffaele
Carcano"
fonte:
UAAR
Qui sotto le foto di Napolitano al Meeting:
Altre dichiarazioni di
Napolitano:
“Tra
le forze che operano per la coesione e per il rinnovamento etico c’è
la Chiesa cattolica”, ha affermato, “con tutte le sue
associazioni e le sue ramificazioni”. “Voglio rendere omaggio
innanzitutto a papa Benedetto XVI”, ha aggiunto, “per il suo
contributo che viene per la causa dell’Unità d’Italia”.
Fonte:
UAAR
Passiamo
a d'Alema; la parabola del nostro aristocratico “comunista”
inizia dalla militanza atea giovanile, passando, in seguito, a
Genova, negli anni del Liceo, a svolgere attività di volontariato in
parrocchia e a partecipare alla redazione del giornalino
parrocchiale, oltre che alle lezioni di religione (pur essendo
esonerato), discutendo sempre con l'insegnante, un sacerdote.[fonte:
wikipedia];
questa parabola di conclude nel 2006, quando il nostro borghese
radical chic diventa “Vice-conte” Vaticano. Qui sotto riportiamo due articoli. Il primo è quello a firma di Pino Corrias del 7
settembre 2011, dal titolo Il
vice-conte Max alla corte di papa Ratzinger, apparso su il
Fatto Quotidiano:
“Ammirando
la squisita eleganza di Massimo D’Alema, ci chiedevamo da anni da
dove gli venisse tutta quella spocchia. La risposta l’abbiamo
trovata in Vaticano dove dal 2006 custodiscono con perfidia il
segreto di averlo nominato nobile. Non conte, come chiedeva lui, ma
vice. Il vice-conte Max. Per l’esattezza: Nobiluomo. In sigla
latina NH, tutto maiuscolo. Per le plebi: Eccellenza.
A forza di scalare
riservatamente i privilegi del potere, quel lieto evento ce lo aveva
tenuto nascosto. É invece il più commovente, il più istruttivo,
venendo lui dalla piccola borghesia comunista, e perciò persuaso che
l’accuratezza di un paio di scarpe, o l’investimento societario
in una barca a vela, fossero indispensabili per frequentarlo.
Figuriamoci un titolo nobiliare. Intriso dall’ambitissimo borotalco
papale. Al punto – raccontano i maligni – da molestare il
cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato, per ottenere quella
preziosa nomina: telefonate, perorazioni, inchini. Fino a ottenerla.
E poi a esibirla il 20 novembre dell’Anno Domini 2006.
La storia si compie
durante il secondo governo Prodi. D’Alema è ministro degli Esteri.
Sta preparando, per il neo eletto presidente Napolitano, la sua prima
visita di Stato in Vaticano. É l’occasione che aspettava per farsi
nominare conte, si è incapricciato.
Un titolo per
distinguersi
I monsignori gli spiegano che conte è troppo, lo vieta il regolamento che dispensa nobiltà con scala millimetrica e conte può diventarlo solo il titolare del Quirinale, cioè Napolitano. E allora cosa? Gli offrono la qualifica di Nobiluomo, di regola riservata agli ambasciatori. Vada per Nobiluomo. Che poi sarebbe un mezzo conte che è sempre meglio di un doppio nulla.
Quando finalmente arriva
il corteo d’auto dello Stato italiano in visita a quello
Pontificio, il suo sogno radioso si è compiuto. Il presidente
Giorgio Napoletano incede per primo tra le alabarde schierate e tutti
i pennacchi pettinati. Lui segue con passo cadenzato, i baffi,
l’involucro di un frac da cerimonia con i reverse a punta di
lancia, il petto in fuori. E sul petto tre placche, due vecchie, una
nuova. La prima dell’Ordine Cileno, ottenuta l’anno prima a
Santiago. La seconda della Legion d’Onore concessagli dal governo
Francese. E finalmente la terza, lo stellone di Cavaliere di Gran
Croce dell’Ordine Piano che emana i santi bagliori della nobiltà
pontificia.
L’anno prima il
ministro degli Esteri, Gianfranco Fini, che accompagnava l’allora
presidente, Carlo Azeglio Ciampi, nella prima visita di Stato a
Benedetto XVI non ha ricevuto un bel niente, a parte la benedizione.
D’Alema invece ce l’ha fatta. Oro zecchino emana il suo viso
nelle molte foto di quel giorno.
È il definitivo addio
dal suo passato di giovane pioniere temprato dalle nevicate
moscovite, dai tetri Comitati centrali, dal fil di ferro
dell’ideologia che gli ha tenuto dritta l’andatura e salda la
cornice dello specchio che lo precede. Si è lasciato alle spalle le
plebi della politica, i Fassino, i Bersani, il detestato Veltroni che
si nutrono di chiacchiere ornamentali e onori in spiccioli.
Lui vola assai più
alto. Si è scrollato di dosso le trattorie dei compagni, i pedalò
della Romagna, il vino cattivo delle feste popolari, il fiato amaro
delle lotte intestine, dai tempi in cui il grande Luigi Pintor veniva
radiato e irriso, fino al siluramento di Romano Prodi, rovesciato nel
1998 e rimpiazzato a Palazzo Chigi per finalmente respirare
l’ossigeno del potere in compagnia di quei due capolavori di
Velardi & Rondolino, scelti con cognizione di causa. Si trattò
di un immenso sforzo. Per cosa? Niente di cui andar fieri: il
bombardamento alla Serbia, più qualche affaruccio telefonico.
L’avventura naufragò.
E in quel naufragio lo stratega raddoppiò la sua impazienza. Che
finì per sfigurarlo persino nella sua celebrata intelligenza, nel
suo fiuto diventato infallibile a sbagliarle tutte, ma sempre
credendo fermamente nel contrario. Convinto della propria intrinseca
superiorità. E tuttavia incompreso.
La ricompensa
del cardinale
È stato certamente il
Cavaliere di Arcore a irretirlo nel vortice, anche psicologico, che
gli ha dissolto la vecchia identità del militante intelligente,
smagrito dal rigore, per trasformarlo – tempo una dozzina d’anni
di rancori, recriminazioni e regate – in questo nobiluomo vaticano,
il malinconico vice conte Max.
È da allora che D’Alema
cominciò a concedersi in sogno quello che la realtà ostinatamente
gli negava. A pretendere un risarcimento al suo narcisismo ferito. A
ostentare consumi per non sentirsi consumato. A nutrire quella
spocchia tanto necessaria agli insicuri. Perché sempre gli mancava
qualcosa. Una corona, un trono, o almeno un pennacchio da esibire.
Fino a quella aristocratica intuizione. Si trattava di scegliere il
miglior giacimento di placche. Per questo ha chiesto aiuto al
cardinale che alla terza risata – come un diavolaccio che gli
compra l’anima – l’ha fatto Nobiluomo."
Il secondo articolo, dal titolo
D’Alema è un "nobiluomo" del Vaticano Il vice conte Max
emblema della sinistra snob, a
firma di Stenio Solinas, è apparso il giorno 8 settembre 2011 su il
Giornale:
“Il
«conte rosso» per antonomasia è sempre stato Luchino Visconti.
L’idea che ora possa esserlo Massimo D’Alema è di sicura
impronta marxiana: la storia, ammoniva il gran barbuto di Treviri,
quando si ripete è sempre una farsa.
Il
Fatto pubblica delle foto del conte
Max, allora ministro degli Esteri, infracchettato e superdecorato in
un’udienza papale del 2006: più che il diavolo e l’acqua santa è
una specie di Miseria e nobiltà: al posto del principe di Casador
c’è un N.H. con i baffi, l’Ordine Cileno, la Legion d’Onore di
Francia e, fresco di nomina pontificia, lo stellone di Cavaliere di
Gran Croce dell’Ordine Piano sul petto. Voleva il titolo più alto,
lui. Quello di conte. Ma non sapeva che il Vaticano lo riserva ai
capi di Stato.
Così si è dovuto
«rassegnare» a essere solo un vice. Ma, a conti fatti, vice conte
val bene una messa. Si ignora se avesse ai piedi le famose e costose
scarpe di cuoio fatte a mano scoperte qualche anno prima presso un
calzolaio calabrese, e se sul «Tevere più largo» dell’intesa fra
Stato e Chiesa ci fosse arrivato in barca a vela. Si può escludere,
visto il rigido protocollo e l’assenza dello chef Vissani, che ci
sia stato il tempo per una risottata catto-comunista nella foresteria
vaticana.
Abbiamo convissuto per
anni con l’idea che i «compagni» fossero persone serie,
pericolose proprio perché convinte delle loro idee. Eravamo giovani
e quindi eravamo ingenui: non avevamo capito che sotto il vestito
rosso non c’era niente, bastava invitarli a pranzo o portarli dal
sarto e la rivoluzione sarebbe finita lì.
Da anni ormai la
sinistra è un susseguirsi di yacht, merchant bank dove non si parla
inglese, vigneti e abiti griffati. Ci siamo abituati ai vellutini di
Fausto Bertinotti e ai foulard di Achille Occhetto, agli sloop di 60
piedi di SuperMax, alle piccole Atene di Capalbio (o era Cetona? Ah,
saperlo), alle tenute agricole nelle Langhe care a Cesare Pavese, o
nell’ubertosa Umbria da sempre cuore caldo della sinistra di lotta
(ma dai) e di governo (ma sì). Ci siamo anche abituati all’idea di
leader del comunismo che fu, pronti a giurare che loro, comunisti,
non lo erano mai stati (Veltroni docet). Perché sorprenderci ora se
li vediamo inseguire un titolo nobiliare? È vero: già Giovanni
Giolitti sosteneva che un sigaro e una croce di cavaliere non si
negavano a nessuno, ma quella era l’Italietta
liberal-conservatrice, mica il «Paese normale» della retorica
progressista...
Diceva Chateaubriand che
l’aristocrazia passava per tre età successive: «L’età delle
qualità superiori, l’età dei privilegi, l’età delle vanità.
Uscita dalla prima, degenera nella seconda e si spegne nell’ultima».
La sinistra è divenuta aristocrazia senza averne i meriti e
accontentandosi dei difetti: perpetua i privilegi, è superbamente
vanitosa. Da tempo non rappresenta più nulla, ma ha imparato a farlo
con sussiego e prosopopea: la «diversità», la «questione morale»,
la «parte sana» eccetera, eccetera.
È una sinistra con la
puzza sotto il naso, il mutuo cospicuo in banca e il contratto da
rinnovare in Rai, o presso qualche ente, o presso qualche grande
editore, sempre indignata e sempre sofferente, per anni convinta di
doversene andare, sdegnata, in esilio: il clima si era fatto
invivibile, la democrazia non c’era più. Naturalmente è ancora
qui.
Si dirà: non c’è
niente di male a volere un po’ di ricchezza, a sognare un’ascesa
sociale, a inseguire un quarto di nobiltà... Ci mancherebbe: dalla
società senza classi alla business class può anche essere un
programma politico. Basta saperlo. Male che vada, voli Freccia alata,
giri il mondo e bombardi la Serbia. È per questo che fin
dall’infanzia ci si iscriveva alla Direzione del Pci."
http://nwo-truthresearch.blogspot.it/2013/02/bertone-lamico-di-grillo-vuole-un.html
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