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Berlusconi impresentabile? Più o meno quanto i suoi valorosi
“oppositori”, che in vent’anni non hanno fatto mai nulla per ostacolarlo
concretamente. Parola di Aldo Giannuli, uno che a disarcionare il Cavaliere ci
provò davvero, nei primissimi giorni del lontano 1994: insieme all’allora deputato
Pds Nicola Coalianni aveva predisposto un disegno di legge sull’incandidabilità
dell’uomo di Arcore.
Ma a fermarlo fu Achille Occhetto, quello della “gioiosa
macchina da guerra”. L’iter parlamentare per la legge anti-Berlusconi sarebbe
durato mesi e avrebbe comportato il rinvio del voto, mentre Occhetto aveva
fretta di «andare a vincere le elezioni a marzo». Poi sappiamo com’è andata,
dice oggi Giannuli, che osserva: «E’ da quell’antico pasticcio che nasce tutta
la tematica sul conflitto di interesse, costantemente agitato dalla sinistra in
ogni campagna elettorale e mai tradotto in una legge». Imbarazzante: «Non è che
sia una figura magnifica quella di un paese che ha avuto per quattro volte,
come presidente del Consiglio, un signore che era un frequentatore abusivo
delle assemblee elettive, salvo poi accorgersene vent’anni dopo. Vi sembra
serio?».
Inutile girarci attorno: da quella volta, nessuno ci ha mai
più provato – realmente – a togliere di mezzo Berlusconi, come competitore
politico Berlusconi“sleale” in quanto detentore di potenti media, televisioni e
giornali. Se al governo era il centrodestra «non si poteva far nulla, perché la
destra non voleva neppure aprire il discorso». Ma il risultato era il medesimo
(nessuna legge antitrust) anche se a governare era il centrosinistra, perché
«certe leggi – si diceva – non si possono fare con maggioranze di parte, ma
solo con il consenso di tutti». Altro problema della sinistra: non dare la
sensazione di abusare della sua maggioranza, come disse D’Alema. «Quindi, per
vent’anni la cosa è andata avanti con questo teatrino». Al punto in cui siamo
oggi, dice Giannuli, non resta che assecondare il “Movimento 5 Stelle” e
«votare per l’incompatibilità senza fare altri pateracchi», ben sapendo però
che ci si espone «all’accusa di volere eliminare gli avversari per via non
politica», come dimostra la campagna già in corso sui grandi giornali,
“Corriere della Sera” compreso.
Ormai c’è anche l’intricato crocevia di sentenze, quella su
Mediaset e il processo Ruby ancora in itinere, «e questo crea un ingorgo non
positivo, nel quale le varie cose rischiano di disturbarsi a vicenda,
confermando l’immagine del “complotto politico-giudiziario”». Questioni formali
e politiche: «Un conto è che a decidere l’interdizione dai pubblici uffici sia
una maggioranza parlamentare sulla base di norme amministrative, e un conto è
se a farlo è la magistratura che giudica su una fattispecie di reato, anche se
poi se la decadenza dovrebbe essere comunque ratificata dal Senato». Morale:
«E’ opportuno che la valutazione di ordine penale preceda l’altra, evitando per
quanto possibile la sensazione di un assedio che non bada ai mezzi pur di
ottenere il risultato». Detto questo, resta la domanda di fondo: che razza di
opposizione a Berlusconi ha fatto il Pds-Ds-Pd in questi D'Alema e
Occhettovent’anni? «Ha coltivato la più scatenata isteria contro il
personaggio, salvo poi non fare nulla di concreto: raro esempio di nullismo
politico».
Si partì subito malissimo, ricorda Giannuli, sin dall’ascesa
del Cavaliere nel settore televisivo, con la successiva creazione del dupolio
Rai-Mediaset sancito dalla famigerata “legge Mammì” del 1990, poi perfezionata
dalla legge Maccanico del ‘97. «A dare ascolto alla vulgata diffusa, sembra che
l’unico responsabile della sciagurata legge Mammì sia stato Bettino Craxi, che
effettivamente come presidente del Consiglio la avallò, nella sciocca
convinzione di avere un polo televisivo amico (poi, solo due anni dopo, nel
1992 si vide quanto gli erano amici)». Memorabili, infatti, le dirette dal
Palagiustizia di Milano: uno stillicidio giustizialista, contro il Psi e gli
altri partiti di Tangentopoli, coordinato da Emilio Fede su ordine di Silvio.
Ma attenzione: «Tanto per cominciare, il ministro proponente Oscar Mammì apparteneva
al Pri, il virtuosissimo partito dei La Malfa, Visentini e Spadolini, che ha
sempre goduto di grande considerazione e rispetto a sinistra, ma che qualche
volta Veltroni“si distraeva” anch’esso», di fronte agli interessi del
“Berlusca”.
Poi, continua Giannuli, va ricordato che anche la Dc ebbe la
sua parte, non foss’altro perché votò la legge senza fare troppe obiezioni,
salvo qualche isolato mal di pancia. «E sin qui siamo all’aborrito
pentapartito. Ma che dire dei Radicali con la loro campagna per non pagare il
canone Rai e delle loro proposte referendarie che, quantomeno obiettivamente,
spianarono la strada al Cavaliere?». Ma la parte del leone, nel tacito
garantismo pro-Berlusconi, spettò a Walter Veltroni, «all’epoca responsabile
del settore radiotelevisivo del suo partito». Quella del Pci, accusa Giannuli,
non fu certo una opposizione intransigente e scevra di compromessi. «E non fu
solo l’ala da cui poi venne il Pds a “compromettersi”, perché non mancò qualche
accorto fiancheggiamento di Armando Cossutta», l’uomo di Mosca, poi confluito
in Rifondazione comunista e infine ispiratore dell’ennesimna scissione interna,
quella del Pdci di Diliberto. «Insomma, il Cavaliere non è stato un mostro
sbarcato all’improvviso da una astronave marziana sulla Terra», conclude
Giannuli: «Ad allevare il mostro sono stati in tanti, anche a sinistra. E a
volte, piccoli opportunismi possono avere grandi e durevoli conseguenze».
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