venerdì 19 luglio 2013

L’IMPRESENTABILITÀ DI SILVIO (E DEI SUOI VALOROSI OPPOSITORI)

idee LIBRE friends


Berlusconi impresentabile? Più o meno quanto i suoi valorosi “oppositori”, che in vent’anni non hanno fatto mai nulla per ostacolarlo concretamente. Parola di Aldo Giannuli, uno che a disarcionare il Cavaliere ci provò davvero, nei primissimi giorni del lontano 1994: insieme all’allora deputato Pds Nicola Coalianni aveva predisposto un disegno di legge sull’incandidabilità dell’uomo di Arcore. 


Berlusconi     D'Alema e Occhetto




Ma a fermarlo fu Achille Occhetto, quello della “gioiosa macchina da guerra”. L’iter parlamentare per la legge anti-Berlusconi sarebbe durato mesi e avrebbe comportato il rinvio del voto, mentre Occhetto aveva fretta di «andare a vincere le elezioni a marzo». Poi sappiamo com’è andata, dice oggi Giannuli, che osserva: «E’ da quell’antico pasticcio che nasce tutta la tematica sul conflitto di interesse, costantemente agitato dalla sinistra in ogni campagna elettorale e mai tradotto in una legge». Imbarazzante: «Non è che sia una figura magnifica quella di un paese che ha avuto per quattro volte, come presidente del Consiglio, un signore che era un frequentatore abusivo delle assemblee elettive, salvo poi accorgersene vent’anni dopo. Vi sembra serio?».

Inutile girarci attorno: da quella volta, nessuno ci ha mai più provato – realmente – a togliere di mezzo Berlusconi, come competitore politico Berlusconi“sleale” in quanto detentore di potenti media, televisioni e giornali. Se al governo era il centrodestra «non si poteva far nulla, perché la destra non voleva neppure aprire il discorso». Ma il risultato era il medesimo (nessuna legge antitrust) anche se a governare era il centrosinistra, perché «certe leggi – si diceva – non si possono fare con maggioranze di parte, ma solo con il consenso di tutti». Altro problema della sinistra: non dare la sensazione di abusare della sua maggioranza, come disse D’Alema. «Quindi, per vent’anni la cosa è andata avanti con questo teatrino». Al punto in cui siamo oggi, dice Giannuli, non resta che assecondare il “Movimento 5 Stelle” e «votare per l’incompatibilità senza fare altri pateracchi», ben sapendo però che ci si espone «all’accusa di volere eliminare gli avversari per via non politica», come dimostra la campagna già in corso sui grandi giornali, “Corriere della Sera” compreso.


Ormai c’è anche l’intricato crocevia di sentenze, quella su Mediaset e il processo Ruby ancora in itinere, «e questo crea un ingorgo non positivo, nel quale le varie cose rischiano di disturbarsi a vicenda, confermando l’immagine del “complotto politico-giudiziario”». Questioni formali e politiche: «Un conto è che a decidere l’interdizione dai pubblici uffici sia una maggioranza parlamentare sulla base di norme amministrative, e un conto è se a farlo è la magistratura che giudica su una fattispecie di reato, anche se poi se la decadenza dovrebbe essere comunque ratificata dal Senato». Morale: «E’ opportuno che la valutazione di ordine penale preceda l’altra, evitando per quanto possibile la sensazione di un assedio che non bada ai mezzi pur di ottenere il risultato». Detto questo, resta la domanda di fondo: che razza di opposizione a Berlusconi ha fatto il Pds-Ds-Pd in questi D'Alema e Occhettovent’anni? «Ha coltivato la più scatenata isteria contro il personaggio, salvo poi non fare nulla di concreto: raro esempio di nullismo politico».

Si partì subito malissimo, ricorda Giannuli, sin dall’ascesa del Cavaliere nel settore televisivo, con la successiva creazione del dupolio Rai-Mediaset sancito dalla famigerata “legge Mammì” del 1990, poi perfezionata dalla legge Maccanico del ‘97. «A dare ascolto alla vulgata diffusa, sembra che l’unico responsabile della sciagurata legge Mammì sia stato Bettino Craxi, che effettivamente come presidente del Consiglio la avallò, nella sciocca convinzione di avere un polo televisivo amico (poi, solo due anni dopo, nel 1992 si vide quanto gli erano amici)». Memorabili, infatti, le dirette dal Palagiustizia di Milano: uno stillicidio giustizialista, contro il Psi e gli altri partiti di Tangentopoli, coordinato da Emilio Fede su ordine di Silvio. Ma attenzione: «Tanto per cominciare, il ministro proponente Oscar Mammì apparteneva al Pri, il virtuosissimo partito dei La Malfa, Visentini e Spadolini, che ha sempre goduto di grande considerazione e rispetto a sinistra, ma che qualche volta Veltroni“si distraeva” anch’esso», di fronte agli interessi del “Berlusca”.


Poi, continua Giannuli, va ricordato che anche la Dc ebbe la sua parte, non foss’altro perché votò la legge senza fare troppe obiezioni, salvo qualche isolato mal di pancia. «E sin qui siamo all’aborrito pentapartito. Ma che dire dei Radicali con la loro campagna per non pagare il canone Rai e delle loro proposte referendarie che, quantomeno obiettivamente, spianarono la strada al Cavaliere?». Ma la parte del leone, nel tacito garantismo pro-Berlusconi, spettò a Walter Veltroni, «all’epoca responsabile del settore radiotelevisivo del suo partito». Quella del Pci, accusa Giannuli, non fu certo una opposizione intransigente e scevra di compromessi. «E non fu solo l’ala da cui poi venne il Pds a “compromettersi”, perché non mancò qualche accorto fiancheggiamento di Armando Cossutta», l’uomo di Mosca, poi confluito in Rifondazione comunista e infine ispiratore dell’ennesimna scissione interna, quella del Pdci di Diliberto. «Insomma, il Cavaliere non è stato un mostro sbarcato all’improvviso da una astronave marziana sulla Terra», conclude Giannuli: «Ad allevare il mostro sono stati in tanti, anche a sinistra. E a volte, piccoli opportunismi possono avere grandi e durevoli conseguenze».

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