lunedì 28 settembre 2015

L’ULTIMA SORPRESA DEL DNA: TUTTI I GENI “IMPOSSIBILI” CHE NON DOVREBBERO ESISTERE

Quando nel 2000 si tagliò il traguardo del Progetto Genoma, che portò alla mappatura dei geni che formano il nostro Dna, si pensò di sapere tutto di queste molecole essenziali alla vita. Ma non era così. E ora una clamorosa scoperta lo dimostra una volta di più.
Fino a non molto tempo fa l’idea prevalente era che i geni, al pari degli individui, avessero dei progenitori da cui si sono moltiplicati e diffusi, modificandosi a ogni interazione.
Nella storia dell’evoluzione questo processo si potrebbe far risalire alle origini della vita stessa, 3,8 milioni di anni fa: copie di geni esistenti davano luogo a nuovi geni, quelli vecchi continuavano a fare il loro lavoro e le copie erano libere di evolvere.

Non solo: un’altra idea consolidata era che per il 98% il nostro Dna (ridimensionato a 20 mila geni dai 120 mila iniziali) fosse «spazzatura», materiale che non possedeva nessun codice per produrre questa o quella proteina. Niente di più erroneo.

I ricercatori hanno scoperto – e hanno portato le prove alla conferenza della «Società per la biologia molecolare e l’evoluzione» che si è svolta a Vienna – che ci sono tanti geni «nuovi», generati «ex novo», che non somigliano a nessun altro, non hanno antenati o parentele, e sono presenti in vari organismi, dal moscerino ai topi fino all’uomo.

Da dove provenissero questi geni «orfani» è stato un rompicapo, ma ora – rivela una ricerca presentata da Mar Albà, biologo dell’«Institut Hospital del Mar d’Investigacions Mèdiques» di Barcellona – ci si è resi conto che hanno origine da quel Dna «spazzatura». D’un tratto assumono una funzione e un ruolo attivo.

«La ricerca dimostra la nostra assoluta ignoranza in fatto di geni, molecole che sfuggono a una definizione riduzionistica. Oggi, grazie alle biotecnologie, ne conosciamo meglio la struttura, ma la loro funzione è un’altra cosa ancora. Non è la struttura che ne determina l’esito finale», spiega Carlo Alberto Redi, biologo all’Università di Pavia e membro dell’Accademia dei Lincei.

Come e perché i nuovi geni – 600 quelli potenzialmente umani finora catalogati – vengono assemblati o generati ex novo? «Forse bisogna tornare al pensiero di Jacques Monod, recuperando il concetto che il caso e la necessità dominano nella vita biologica. Inoltre, un gene non è un monolito, ma è fatto di tante parti operative, un set di blocchi che, a seconda della necessità e del caso (e dell’ambiente), vengono assemblati e assumono una funzione», aggiunge Redi. «Del resto, se la trafila fosse quella banale della replica di vecchi geni, non si potrebbero spiegare cambiamenti fondamentali come quelli a cui abbiamo assistito nella storia dell’evoluzione».

Una prima evidenza che il modello di duplicazione dei geni «progenitori» fosse troppo semplicistico era emersa già negli Anni 90, quando nacquero le tecniche di sequenziamento del Dna.

Analizzando il genoma di tanti organismi, ci si rese conto dell’esistenza di molti geni «orfani» che eludevano una classificazione. Da dove sbucavano? Fu finalmente nel 2006 che David Begun, biologo all’Università di California a Davis, raccolse le prime prove che questi geni potessero avere origine dal Dna non codificante, quello «junk», spazzatura: mise a confronto le sequenze di diverse specie di moscerini (tra i più studiati è quello della frutta o Drosophila melanogaster) e scoprì che vari geni erano presenti in una specie o in due, ma non in altre, come se non appartenessero a geni antenati. Poi la prova: sequenze casuali di Dna spazzatura nel genoma dei moscerini potevano dare luogo a geni funzionanti.

«Così come una frase deve avere un inizio e una fine, anche il nuovo gene era corredato dai segnali che gli consentono di essere funzionale», ha precisato Begun a Vienna.

Resta, però, la difficoltà di distinguere un gene nuovo da uno che è cambiato drasticamente rispetto al progenitore, problema che viene sfruttato da coloro che avanzano ancora dei dubbi sull’ipotesi della formazione di nuovi geni.

«Ma una riflessione è d’obbligo: come si può pensare che il 98% del nostro Dna non faccia nulla e che tutto sia delegato a un esiguo 2%? La natura non fa nulla che non serva e lo diceva già Aristotele. I nuovi geni potrebbero quindi avere, a seconda dell’ambiente, una funzione innocua, migliorativa o nociva, e aprono così una nuova strada allo studio di molte malattie», conclude Redi.

FONTE :LA STAMPA

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