lunedì 2 maggio 2016

LA MUMMIA DI TUT-ANKH-AMON SVELA IL MISTERO DELLA SINDONE

Sindone



La Sindonologia è una scienza davvero singolare.

Composta da un insieme coordinato di discipline scientifiche di diverso genere messe a sistema, ha come scopo quello di dimostrare l’autenticità di un manufatto, il telo sindonico conservato a Torino, e di studiarne i metodi per la sua corretta conservazione.


Il famoso telo, come è noto, mostra impressa quella che si ritiene essere l’immagine del corpo di Gesù di Nazareth.

La “Scienza”, come è oggi considerata, adotta un principio assai distante da quello galileiano e fa precedere la teoria e i modelli descrittivi all’oggetto che questi modelli e teorie dovrebbero descrivere. Anche nelle discipline in apparenza più rigorose le ipotesi con cui si prova a spiegare i fenomeni precedono l’approfondimento. Intorno alle ipotesi vengono costruite nuove teorie interpretative che, solo in seguito, vengono sottoposte alla prova dei fatti sperimentali.

Questo modo di procedere fa sì che qualora una teoria non viene comprovata interamente dai fatti, anziché sostituirla con una più idonea, viene semplicemente “rivista” incorporando l’eccezione.

Il risultato è che, in generale, la scienza non cerca più la verità dei fatti e i modelli più idonei a descriverli, ma finisce per essere strumento per dimostrare la veridicità di tesi preconfezionate e, in questo senso, la Sindonologia é la prova più evidente ed estrema di questo modo di procedere. E’ evidente, infatti, che lo scopo della Sindonologia è difendere una verità di fede.

Il suo teorema di fondo può essere sintetizzato in questo modo: <<La Sindone di Torino è un reperto autentico. L’impossibilità scientifica di dimostrare come l’immagine impressavi si è prodotta è la prova fisica della resurrezione di Gesù>>.

A fronte di questa tesi preconfezionata esistono, seppure non associate a una vera e propria contro-scienza, gruppi di scienziati che lavorano in maniera diametralmente opposta e sono mossi, in estrema sintesi, da questo ulteriore teorema: <<La Sindone è un falso storico di origine medievale. L’immagine che vi è impressa è frutto di un fenomeno, o un insieme di fenomeni, naturali, utilizzati dalle mani sapienti di abili falsari per realizzare il manufatto>>.

Tra queste due tesi opposte non esistono mediazioni.

In questo senso, ad esempio, una tesi del tipo: <<La Sindone è un reperto probabilmente autentico, ma il metodo di impressione è frutto di un processo fisico naturale compatibile con i metodi di trattamento dei cadaveri noti all’epoca insieme a particolari condizioni ambientali>>, che pure sembrerebbe la via più naturale per questa ricerca storico-scientifica seria, non è stata mai indagata.



Il motivo è assai semplice: ogni ricerca moderna richiede finanziamenti che provengono da “sponsor” istituzionali o privati; una tesi simile non trova “sponsor” né tra coloro che sono interessati alla prova della resurrezione di Gesù, né tra quelli interessati a dimostrare il contrario.

– Lo strano caso della mummia di Tut-ankh-amon

La tomba di Tutankhamon costituisce una delle poche sepolture dell’antico Egitto pervenutaci quasi intatta. Fu scoperta nel 1922 nella Valle dei Re e appartiene al giovanissimo sovrano della XVIII dinastia salito al trono all’età di 9 anni e morto all’età di 18, o forse 20 anni. La scoperta avvenne ad opera dell’archeologo Howard Carter.

Tralasciando le strane morti che fecero nascere voci su una maledizione che avrebbe colpito tutti coloro che avevano disturbato il sonno mortale del faraone, alcuni elementi davvero misteriosi hanno circondato la scoperta fino a pochi anni fa, primo tra tutti la causa della morte del giovane faraone.

Con l’aiuto di moderne tecniche scientifiche si è, recentemente, potuto dimostrare che Tutankhamon morì a causa di un incidente: fu investito da un carro. Con l’analisi del DNA e la comparazione con altre mummie è stato possibile ricostruire l’albero genealogico del giovane faraone e alcune patologie dalle quali Tutankhamon e i suoi parenti erano affetti.


Frammento della mummia di Tutankhamon

Ma la cosa che ci interessa, ai fini della nostra analisi, è il test spettroscopico condotto su di un frammento della mummia, che ha rivelato come essa subì un’imbalsamazione veloce e a dir poco approssimativa, costellata di vari errori operativi.

Questi numerosi errori furono la causa di un vero e proprio processo di autocombustione. Ma come è stato possibile?

Secondo recenti analisi, il processo di autocombustione sembrerebbe legato, oltre che al non corretto processo di imbalsamazione del corpo, all’uso eccessivo di olio di semi di lino.

Questa sostanza, tipicamente usata nei processi di imbalsamazione con lo scopo di facilitare il processo di essiccazione, tende a reagire con l’ossigeno e quindi a dar vita a processi ossidativi con una grande produzione di calore che, in particolari condizioni, può dar vita a processi di combustione. La reazione combustiva viene accelerata quando l’olio é cosparso su di una superficie estesa come quella di un cadavere avvolto in vari strati di bende.


Dr. Chris Naunton

L’egittologo Dr. Chris Naunton, direttore della Egypt Exploration Society, ha recentemente cercato di riprodurre il fenomeno e verificare se, ed in quali condizioni, si sarebbe potuta determinare la combustione della mummia.

Naunton si è rivolto al Building Research Establishment, un’organizzazione non-profit che si occupa di ricerca e sperimentazione per la verifica degli standard costruttivi, e ha realizzato un esperimento utilizzando bende e olio di lino.

Per l’esperimento, l’olio di lino è stato versato sopra quattro gruppi di bende e distribuito in modo uniforme. I teli di lino impregnati sono stati avvolti in strati di tela di lino pulita, simulando quanto avviene nel bendaggio delle mummie. Nell’involucro è stato inserito un sensore a termocoppia per rilevare la temperatura interna.

Lasciato a cielo aperto, nel giro di una sola ora, sono state raggiunte temperature fino a 360 ° C e la biancheria ha cominciato ad annerire e a fumare fino al punto in cui i teli hanno preso fuoco.

Gli antichi resoconti di Carter, insieme ai rilievi e le analisi effettuate sulla mummia, non lasciano dubbi sulla fretta con la quale fu trattato il sovrano, non rispettando il giusto tempo per la pulitura, né quello per la corretta essiccatura.

L’uso di una dose eccessiva di oli con il quale si pensava, forse, di velocizzare l’essiccazione, dimostrata anche dall’effetto di incollaggio del cadavere alla parte inferiore del sarcofago, finì per produrre la combustione del corpo che iniziò già dopo la mummificazione. La combustione proseguì all’interno del sarcofago e fu interrotta solo dal consumo dell’ossigeno conseguente alla chiusura.

– Il caso della Sindone di Torino
Tra le ipotesi più accreditate inerenti i fenomeni che possono aver generato la Sindone vi è quella legata all’emissione di una qualche radiazione.

Alcuni studiosi (Rodante, Moroni e Delfino-Pesce) sono riusciti, con questo metodo, a produrre delle immagini dall’aspetto molto simile al volto dell’Uomo della Sindone e, seppure non si é riusciti a riprodurne efficacemente la tridimensionalità, questi manufatti sono quelli che più si avvicinano al telo sindonico.

In questi esperimenti sono stati usati bassorilievi riscaldati a temperature intorno ai 200 gradi centigradi sui quali è stato adagiato un telo di lino.

Fino ad oggi, però, l’ipotesi è sempre stata scartata poiché problematica da un punto di vista scientifico. Si è, infatti, sempre ritenuto che un corpo morto non avrebbe potuto produrre l’energia termica necessaria per formare un’immagine su un tessuto di lino.

Paradossalmente, questa possibilità di impressione è stata largamente sposata dai fautori della originalità del manufatto, essi, proprio nella straordinarietà di tale fenomeno, hanno voluto vedere la prova della resurrezione.

Ora, però, sappiamo che l’energia termica necessaria può essere prodotta anche dall’uso di olio di lino, e sappiamo inoltre, che le temperature che si possono ottenere sono più che sufficienti non solo a produrre l’impressione termica ma, in casi particolari, a generare la combustione del telo e del cadavere.

Le indagini condotte sulla sindone nel 1978 hanno dimostrato che l’immagine è dovuta all’ossidazione dei tessuti del lino che ha riguardato solo una parte superficiale del telo.

Un interessante elemento che trova concordi la maggior parte degli studiosi sull’ipotesi della irradiazione, è legato al fatto che anche le monete poste sugli occhi hanno provocato sul telo il medesimo processo di ossidazione che, quindi, non è attribuibile a un fenomeno chimico connesso all’interazione con il corpo.

L’effetto tridimensionale dell’immagine sul telo è connesso alle diverse distanze del telo dal corpo e appare meno intenso laddove il telo non era posto direttamente a contatto con la pelle.

In base a queste e ad altre osservazioni, gli studiosi sono, per lo più, concordi nel ritenere che l’immagine è dovuta a una “strinatura”, ovvero a una lieve bruciatura superficiale. La combustione lieve può, quindi, essere facilmente collegata a quella generata dal processo termico di ossidazione dell’olio di lino cosparso in abbondanza sul corpo e dal numero limitato di strati di telo (forse solo uno).

L’uso di una sostanza come l’olio di semi di lino, che è chimicamente simile al materiale del tessuto e che è soggetta a processi ossidativi similari, ovviamente, non può essere rilevata da analisi chimiche spettrografiche che rivelano, infatti, solo la presenza di processi ossidativi del telo.

L’Olio di semi di lino, come detto, è un tipico olio da essiccazione.

Un’ulteriore interessante proprietà di quest’olio è che, insieme ai processi di ossidazione che si attivano per il contatto della sostanza con l’aria e l’ossigeno, si generano anche processi di polimerizzazione. In altre parole il lino si trasforma in una pellicola rigida e protettiva.

Nel caso del corpo di Gesù, questa pellicola si sarebbe formata a partire dalla superficie direttamente esposta all’aria e si sarebbe estesa agli strati sottostanti a contatto con il corpo.

La formazione rapida della pellicola sia sulla superficie del corpo, che su quella del telo impregnata di olio e a diretto contatto, potrebbe spiegare anche il fenomeno del confinamento dell’immagine sulla sola superficie del tessuto sindonico.

Il calore prodotto dall’attivazione immediata dei processi combustivi e ossidativi, avrebbe accelerato la rapida polimerizzazione dell’olio che impregnava scarsamente la superficie del telo, contribuendo a limitare la penetrazione di altro olio nelle fibre interne.

Al contempo la patina polimerizzata avrebbe anche protetto le fibre interne dai processi di riscaldamento e ossidazione prodotti per effetto del medesimo processo chimico che si compiva per l’olio sul corpo.

La pellicola polimerizzata sul telo sarebbe sparita con il tempo e le operazioni di ripiegamento lasciando solo la traccia dell’ossidazione sulla superficie del tessuto di lino con l’immagine impressa.

– La ricostruzione

Nel corso del I sec. dopo Cristo, e solo in questo periodo, le sepolture ebraiche avvenivano preparando il corpo dopo la morte, ungendolo con oli profumati e riponendolo in un telo di lino, il sudario. Era compito delle donne preparare il cadavere per la sepoltura.

Il corpo veniva lavato e i capelli e le unghie tagliate. Successivamente il cadavere era pulito e profumato adoperando una miscela di spezie e, quindi, avvolto in bende di varie dimensioni e larghezze. Il corpo, a questo punto, restata avvolto nel sudario e, comunque, esposto all’aria contenuta nell’ambiente sepolcrale.

Le tombe venivano custodite per tre giorni da familiari e amici e il terzo giorno, dopo la morte, il corpo veniva esaminato per verificare il decesso ed evitare la sepoltura accidentale di qualcuno ancora vivo.

L’uso di questi oli serviva, quindi, non per il processo di mummificazione, vietato per gli ebrei, ma principalmente per ridurre l’odore della decomposizione.

Dopo aver riaperto la tomba nel terzo giorno, il corpo veniva lasciato decomporre per un anno, al termine del quale la tomba veniva riaperta e le ossa raccolte e conservate in scatole di pietra o marmo dette ossari.

L’uso di olio di semi di lino, seppure accertato nella pratica di mummificazione egizia, non è riportato in quella della preparazione dei cadaveri in ambito ebraico.

Allora perché sarebbe stato usato e quando?

A nostro avviso la decisione di usare quest’olio è legata alla rapidità con la quale fu praticata la prima sepoltura del corpo di Gesù.

Come è noto, infatti, Gesù fu ucciso il giorno prima della Pasqua e, con il fare della notte, avvicinandosi l’inizio vero e proprio della festività, non era più possibile compiere, per motivi religiosi, alcun lavoro e si rendeva necessaria una veloce sepoltura preliminare.

Come viene riportato nel Vangelo di Giovanni, il corpo non venne lavato e preparato come sarebbe stato necessario, ma Giuseppe di Arimatea, insieme a Nicodemo che recava mirra e aloe, deposero il corpo dalla croce e lo avvolsero in bende e olii aromatici conducendolo all’interno una tomba mai usata (Vangelo secondo Giovanni, 19,38-42).

La quantità di questo materiale, una libra ovvero ben 35 Kg, ha fatto ragionevolmente ritenere che fosse una preparazione in qualche modo vicina all’uso egizio e, comunque, una tale quantità, insieme all’uso di bendaggi, si giustifica solo con la intenzione di indurre un rallentamento della decomposizione.

Si parla, quindi, di oli e di bendaggi, seppure non si fa menzione dell’olio di lino.

Se supponiamo che la sindone sia autentica, però, occorre ammettere che almeno per quanto riguarda i bendaggi, questi non furono applicati poiché non ve ne è traccia sull’immagine del telo che appare posto a diretto contatto con il cadavere. Il poco tempo che rimaneva non avrebbe, del resto, reso possibile il bendaggio corretto che, del resto, era inutile senza la preventiva pulizia del corpo.

Nel Vangelo secondo Luca (Vangelo secondo Luca, 23,50-56) si ricorda, infatti, che le donne che avevano preparato gli oli, non poterono applicarli per l’arrivo della Pasqua e dovettero aspettare il giorno successivo al sabato per tornare alla tomba.

In queste condizioni, probabilmente, fu usato unicamente olio di lino per rallentare la decomposizione in modo da consentire la continuazione della preparazione del cadavere il giorno dopo con la fine della festività e, per questo motivo, ci si limitò a coprire il corpo ponendolo tra i due lati del telo sindonico senza l’applicazione di ulteriori bende.

I primi che si recarono al sepolcro la domenica, secondo i Vangeli, non trovando il cadavere pensarono che fosse stato trafugato. Questa é la pista seguita da alcuni archeologi e storici come James Tabor, che ritengono di avere identificato nella Tomba Talpiot il luogo in cui fu trasferito il cadavere, oltre che di avere individuato anche l’ossario in cui furono deposte le ossa.

Comunque la si pensi, la ricostruzione che abbiamo proposto e che potrebbe aver determinato la generazione della immagine sulla Sindone di Torino, ci pare quella più logica e corretta sia storicamente che contestualmente, tanto che ci sembra assai strano che sia sfuggita agli studiosi del reperto.

In conclusione, se abbiamo ragione, la Sindone potrebbe essere un reperto autentico e, al contempo, non essere la prova della resurrezione ma quella di un tentativo di conservazione provvisoria del cadavere.

Non resta che verificarla con prove di laboratorio.

Sabato Scala

http://www.altrogiornale.org/la-mummia-tut-ankh-amon-svela-mistero-della-sindone/



Sabato Scala è Ingegnere elettronico e ricercatore indipendente ha elaborato e sperimentato nuove teorie e modelli matematici nei campi della Fisica dell’Elettromagnetismo, delle Teorie dell’Unificazione, dei modelli di simulazione neurale

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